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22 marzo 2007

Precariato dell’Esercito

Qualsiasi organizzazione per sviluppare le sue attività ha necessità di legare il proprio bilancio agli obiettivi da mantenere e conseguire, in un arco di tempo che varia dai 3 ai dieci anni. Il continuo mutare degli obiettivi o peggio la riduzione delle disponibilità finanziarie di bilancio rendono il sistema sempre più incontrollabile con conseguenze altrettanto imprevedibili sui risultati pianificati.
Con tagli all’ultimo momento sul bilancio della Difesa si colpiscono sempre più le spese di funzionamento, vale a dire quelle che riguardano il personale, l’addestramento, la manutenzione e la sicurezza dei mezzi e delle caserme. Per il numero degli effettivi e delle infrastrutture l’Esercito, di fatto, è la Forza Armata più colpita. Se poi si guardano agli impegni fuori area e la conseguente usura dei mezzi impiegati il dato appare ancora più significativo.
E’ altresì importante rilevare come sia colpito inevitabilmente tutto il sistema di reclutamento e formativo dei volontari che si affacciano alla vita militare.
La riduzione inevitabile, per motivi di bilancio, del numero degli effettivi incide sul numero dei volontari da inserire in servizio permanente negli organici delle Unità operative. Tale provvedimento, se da un lato contribuisce a ridurre le spese, toglie improvvisamente ad un certo numero di volontari “precari” la possibilità di ottenere l’inserimento nell’esercito “in servizio permanente”, aspettativa promessa e da loro coltivata con anni di preparazione e di duro lavoro. Sono anche vanificati gli sforzi dell’Istituzione, sia in termini di risorse impiegate per ottenere dei giovani professionisti addestrati, sia per tutte le attività volte ad incentivarne il reclutamento. E’ da considerare infine che l’insoddisfazione e l’amarezza degli esclusi rappresenta la peggiore pubblicità e propaganda per la Forza Armata.

14 marzo 2007

Difesa con la NATO, l’Europa o gli USA?

L’Alleanza Atlantica allargata, oltre a garantire la sicurezza a un maggior numero di Paesi comporta l’allungamento dei tempi decisionali e più difficoltà nel ricercare obiettivi condivisibili da tutti gli alleati.
L’intervento militare in Iraq, dapprima da parte degli anglo-americani per far crollare Saddam Hussein e successivamente della coalizione, su invito dell’ONU, per stabilizzare quel Paese, ha creato qualche malumore e risentimento all’interno degli alleati. Alcuni, tra cui l’Italia, hanno lasciato da mesi la missione ed ora la stessa Gran Bretagna annuncia il suo ritiro entro l’anno. Resteranno sul campo le forze armate USA, fino a quando….? Prima o poi anche la grande potenza sarà costretta a lasciare il Paese. Tuttavia l’Alleanza come tale non aveva alcuna responsabilità in Iraq.
La missione in Afghanistan, invece, è determinante per la credibilità della NATO in quanto un successo o una sconfitta può far cambiare gli equilibri ed i rapporti tra i Paesi alleati che, tuttavia, anche in quel teatro dimostrano di non seguire un’ unica strategia.
L’Europa politicamente debole, non ha ancora perfezionato una politica comune di difesa e appare non essere in grado di assumere iniziative condivise da tutti i suoi membri. Rimangono, pertanto, i rapporti bilaterali tra le diverse nazioni che si basano sul raggiungimento di comuni obiettivi, in campo politico, economico, sociale e nella sicurezza. In tale situazione sembra quantomeno singolare l’atteggiamento di alcuni Paesi europei, membri della NATO, di voler distanziarsi dagli Stati Uniti in materia di difesa. Ciò, può avere ripercussioni nei rapporti interalleati, tra i Paesi della Comunità Europea e nelle singole relazioni bilaterali.
Una delle conseguenze emerse recentemente per l’Italia è che, nonostante sia inserita nelle alleanze internazionali, non possa godere della protezione antimissile USA, per scelte poco lungimiranti di politica di difesa. Così dopo il missile “SCUD” del colonnello GHEDDAFI può rimanere sotto la minaccia dei missili a lungo raggio dell’Iran, si spera non dotati di testata nucleare.