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3 novembre 2008

IL MITO DEL MILITE IGNOTO

Nei primi anni seguenti la prima guerra mondiale tutto il Paese si adoperò per raccogliere e dare adeguata sepoltura ai soldati deceduti.
Ad avvenuta smobilitazione, su 5,5 milioni di combattenti si contavano 670.000 caduti, 600.000 dispersi ed un milione di feriti. Ogni famiglia in pratica piangeva qualcuno che non era tornato. Molti caduti erano ancora sepolti in cimiteri di guerra, sparsi lungo il fronte, sugli undici campi di battaglia o all’estero. Molti di loro erano senza nome, la pietà di commilitoni e cappellani militari li aveva sepolti in anfratti e tombe di circostanza.
La direzione generale per le onoranze ai caduti, per rispondere alle istanze sempre più pressanti dei familiari, proponeva al Governo di raccogliere le spoglie dei caduti nei principali cimiteri e creare dei nuovi monumenti ove sistemare i poveri resti di questi soldati. Nell’impossibilità di riconoscere i senza nome, definiti dispersi, prendeva corpo l’idea di creare un monumento nazionale unico al milite ignoto. Sui principali campi di battaglia, nacquero i sacrari e gli ossari. Il principale è il Sacrario di Redipuglia, altri sorsero a Cortina, Rovereto, sul Pasubio, sul Monte Grappa ecc.. Nel monumento eretto in piazza Venezia a Roma, in onore di Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, venne sepolto il milite ignoto.
Le procedure di scelta del milite sconosciuto furono lunghe, meticolose ed assolutamente riservate, perché doveva trattarsi di un soldato privo di qualsiasi riconoscimento. Una commissione appositamente nominata dal Governo, scelse undici soldati tratti dagli undici campi di battaglia. Le bare vennero portate ciascuna con i massimi onori nel duomo di Aquilea in Friuli, per le esequie di Stato, prima di essere tumulate nel sacrario di Cargnacco. Lì avvenne la scelta, da parte di una madre di un disperso, della bara da trasferire a Roma nel monumento nazionale. Questo da allora fu denominato l’altare della patria.
Il viaggio da Aquilea a Roma avvenne in treno, a velocità moderata, con soste in tutte le stazioni per consentire a tutti i cittadini, ai sindaci ed agli abitanti anche dei paesi più piccoli di onorare il passaggio del feretro. Questi ricevette a Roma, il 4 novembre 1921, i massimi onori di Stato; dapprima con una funzione religiosa presso la chiesa degli Angeli e quindi presso l’altare della patria, ove erano presenti il re, tutto il suo seguito, tutti i componenti delle camere, tutte le bandiere di guerra delle forze armate, tutti gli ex combattenti decorati, le mamme dei dispersi ed una folla di gente comune che mai si era adunata prima. Fu una presenza corale degli italiani che manifestarono i loro sentimenti di attaccamento a quel simbolo che rappresentava e rappresenta tutti i caduti senza nome sui campi di battaglia in Italia ed all’estero. L’Italia ritrovò attorno a quel milite sconosciuto il sentimento di appartenenza nazionale.
Da quel 4 novembre, ogni anno, attorno ai monumenti che sorsero in tutte le città e nei paesini più lontani per precise direttive del Governo di allora, si onorano i caduti nell’adempimento del dovere per la patria. Molti sono senza nome . A Redipuglia sul cippo centrale c’è scritto: Non importa se non conosci il mio nome, grida al vento, fante d’Italia e dormirò contento.

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