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1 gennaio 2019

La disputa Cina - USA


Il 9 novembre  1989 cadde a Berlino la cortina di ferro, simbolo della divisione dell’Europa nelle sfere d’influenza statunitense e sovietica,  decretando la fine del periodo storico chiamato guerra fredda. D’allora l’equilibrio mondiale ha subito numerosi cambiamenti. Le guerre nei Balcani, in Iraq e in Afghanistan, il terrorismo internazionale, la guerra siriana, la crisi in Giorgia e in Ucraina, l’occupazione della Crimea, ecc., sono alcuni dei conflitti che hanno modificato il quadro geopolitico mondiale. La NATO  ha diminuito lo slancio nell’allargamento dei suoi confini  verso est, mentre si è riscontrato un sempre maggiore attivismo da parte delle principali  potenze dell’Eurasia,  Russia, Iran, Cina, alle quali recentemente si è aggiunta la Turchia.
Nello stesso tempo, anche l’Europa non ha fatto progressi sulla strada dell’auspicata integrazione, salvo la parziale unità monetaria, in quanto non è stata in grado di darsi una costituzione politica e di dotarsi di un sistema di difesa comune.
In generale, dopo la crisi economica del 2008, si è assistito a un indebolimento, sotto ogni punto di vista, del sistema euro-atlantico e una forte ascesa del mondo euroasiatico a guida cinese. Questi avvenimenti hanno creato i presupposti per una nuova sfida mondiale,  acuitasi a partire dal 2017 con l’ascesa dell’amministrazione Trump.  Di fatto, è ricominciata la sfida diretta tra gli Stati, con il riaffermarsi della loro sovranità e l’affievolirsi dell’autorità da parte degli Organismi sovranazionali.
Attualmente, tale confronto si sta svolgendo nella regione geografica dell’Eurasia, ove  gli USA  per bloccare la nascita  di  una grande area economica, politica e militare  cercano di destabilizzare l’Iran, con le sanzioni contro lo sviluppo del nucleare e la Cina, mediante l’imposizione di pesanti dazi economici per le merci esportate negli Stati Uniti. La disputa USA- Cina può portare a sviluppi imprevedibili. Ma si può facilmente immaginare, sulla base dei precedenti storici, che la competizione occidente e oriente porti sicuramente a conseguenze destinate a cambiare l’attuale ordine mondiale.
Le sfide che l’Impero Celeste pone agli USA investono ogni campo: economico, geopolitico e militare. Partendo dal campo economico- politico, la Cina ha creato, sin dagli anni’80, un nuovo tipo di capitalismo, risultato dalla combinazione dell’ideologia comunista con il libero mercato, nominato capitalismo statalizzato che si contrappone al capitalismo occidentale. Il modello cinese ha dimostrato un’efficienza senza precedenti nella costruzione di grandi opere pubbliche, nella formazione di una forte classe media e un costante rafforzamento della crescita economica nazionale. Con un tale apparato la Cina ha realizzato l’espansione dei suoi  commerci verso i Paesi del Terzo mondo, chiedendo a questi solo la tutela dei suoi interessi economici, senza pretendere, al loro interno, la salvaguardia dei diritti umani, a differenza dei Paesi occidentali e degli Stati Uniti. Con tale procedura, la Cina evita  di creare nei Paesi sottosviluppati instabilità interne e ingerenze da parte delle potenze occidentali. Questa appare la ragione per cui l’Impero Celeste sta conquistando i mercati di molti paesi dell’Africa sub sahariana, a discapito di ex potenze coloniali come Francia, Belgio e degli stessi USA che continuano a perdere terreno.
Dal punto di vista geopolitico, il progetto inaugurato dal presidente Xi Jinping, nel 2013, volto allo sviluppo di nuove via della seta, One Belt, One Road, segna una svolta per l’ex impero, in quanto rivolge i suoi interessi non solo all’entroterra euroasiatico, ma anche alle rotte marittime dell’oceano Pacifico.  Questo piano prevede un grande sviluppo infrastrutturale nel continente asiatico (One Belt) e nuove vie commerciali marittime nel Pacifico (One Road), con le quali raggiungere anche i porti europei. Ad esempio, In Italia sono in corso contatti con i cinesi per l’ampliamento del porto di Trieste. E’ evidente che “le nuove vie della seta” hanno anche l’obiettivo di sconvolgere, specie  in Eurasia, l’ordine stabilito alla fine della  seconda guerra mondiale.
Nonostante gli sviluppi diplomatici favorevoli sulla questione tra le due Coree, gli USA sono particolarmente sensibili  all’attuazione del progetto  della Cina, con il quale essa potrebbe conseguire il predominio marittimo sul Pacifico, ora in possesso degli Stati Uniti, allo scopo di implementare i flussi commerciali  verso il resto del mondo.
In conclusione, la sfida USA- Cina, in atto, non ha un significato puramente economico, ma coinvolge il pianeta in una competizione globale che stravolgerà l’attuale ordine mondiale.
Papa Bergoglio tornando dalla sua missione in Corea del Sud, affermò: “Siamo di fronte a un nuovo conflitto globale, ma a pezzetti… un aggressore ingiusto deve essere fermato, ma senza bombardare o fare la guerra”.


16 novembre 2016

VINCERE LA PAURA

Gli attacchi terroristici del 13 novembre scorso a Parigi,  al teatro Bataclan e nei ristoranti dell’undicesimo arrondissement, unitamente al corollario di attentati della stessa matrice che nel 2015 hanno causato migliaia di morti e feriti in ogni area geografica del pianeta, hanno reso evidente alla Francia, all’Europa, al mondo intero  i rischi e gli effetti del terrorismo politico-religioso dell’Isis. La precedente strage di Charlie Hebdo, sempre a Parigi un anno fa, non rappresentava, infatti, un evento tragico del passato ma l’anticipo di un futuro,  nel quale ogni uomo oggi si trova suo malgrado immerso, impreparato ad affrontarlo. Papa Francesco, a proposito delle stragi di Parigi, ha dichiarato in modo esplicito che si tratta di “un pezzo della terza guerra mondiale”.
Al di là delle giustificate reazioni  della Francia, si è cercato di fronteggiare la nuova, improvvisa minaccia, indefinita e diffusa, con richieste di interventi dell’ONU, mediante l’avvio di Summit tra i Capi di Stato e nell’ambito delle Organizzazioni internazionali, per individuare le misure da adottare al fine di contrastare i seducenti combattenti dell’auto proclamato Stato islamico (Is). Di fatto, sono state attivate prevalentemente misure di polizia e controllo all’interno dei singoli Paesi per circoscrivere il “fenomeno” e  dare maggior sicurezza alle istituzioni, limitando il movimento e alle volte i diritti dei propri cittadini.
Di fronte alla determinazione e ferocia con cui si commettano crimini contro il valore della vita e i diritti umani,  al cittadino comune rimane un sentimento di sconcerto e di paura. Secondo un sondaggio di Demos, un italiano su due è pronto a cambiare stile di vita. I fatti di Parigi hanno inciso più profondamente nella società occidentale dell’attacco, a New York, alle Torri Gemelle (11 set 2001) . Allora si parlava di terrorismo, oggi apertamente di guerra. Ieri il  “nemico” era lontano, negli Stati Uniti, oggi è a casa nostra, a Parigi a Bruxelles, ecc.. e in agguato a Roma e Milano. Ai primi segnali  di un eventuale attacco, si creano zone di sicurezza,  si chiudono stadi, teatri, luoghi di culto, metropolitane, stazioni…ecc.  A Roma, per il Giubileo, è stato chiuso lo spazio aereo sopra la città. Come in guerra, appunto. In Italia, abbiamo vissuto questo  profondo sentimento di insicurezza, negli anni ’80, durante gli anni oscuri del terrorismo politico delle brigate rosse.

Ma qual’ è il vero obiettivo dei combattenti dell’Is (Daesh). Sergio Romano, uomo di cultura ed esperto di relazioni internazionali, commenta i fatti di Parigi come “una controffensiva dell’Is, di fronte agli attacchi che sta subendo sui territori dove aveva alzato le sue bandiere e.. poiché l’Is sta perdendo importanti città e territori, ha deciso di aprire un nuovo fronte offensivo in Europa”. Con un differente punto di vista si può anche aggiungere che i terroristi mirano a  colpire questa nostra società libera e aperta, affinchè  essa si chiuda, si ripieghi su sè stessa, si divida e perda i suoi valori. 

22 novembre 2015

La grande guerra non è ancora terminata


La ricorrenza di cento anni dalla deflagrazione della prima guerra mondiale,  scaturita dall’uccisione a Sarajevo dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria, erede al trono  degli Asburgo, sembra  rievocare un’epoca ed eventi tragici lontani,  molto diversi  da quelli del mondo odierno. Documenti, fotografie (tecnica disponibile per la prima volta), libri, film, testimoni  oculari ci hanno tramandato, negli anni,  gli orrori ed i massacri della grande guerra, inutile strage, così definita dal Papa Benedetto XV. Essa  fu innescata dalle contraddizioni  politiche esistenti tra gli imperi e le nazioni europee e dai fermenti culturali del tempo, influendo in modo determinante sui cambiamenti  (la Rivoluzione sovietica, il Fascismo,  il Nazismo, la Seconda guerra mondiale, la guerra fredda) che segnarono tutto il xx secolo.
In occasione di questo anniversario osservatori  internazionali e storici cercano di tracciare un parallelo tra la situazione europea di quegli anni  e quella dei giorni nostri. Per tale raffronto, tralasciando, per brevità di trattazione, l’articolazione geopolitica dell’Europa,  la descrizione delle alleanze, i fatti storici, i dati impressionanti del conflitto, ecc.. è opportuno considerare la prevalente concezione politica e gli elementi culturali che vigevano in Europa all’inizio del ‘900.
La convinzione della propria potenza portava le varie nazioni a temere e a contrastare  l’affermazione degli altri Stati, specie quelli confinanti, dimostrando di non avere alcuna paura di entrare nella contesa per il potere mondiale. Esisteva in ogni  settore della società una disponibilità culturale alla guerra: dai vertici politici e militari, ai dirigenti e agli industriali per i quali essa rappresentava un “toccasana” per ogni problema e una occasione dalla quale trarre qualche vantaggio. Alla base di tutto, c’era la mancata percezione delle conseguenze distruttive di un tale evento, connesse ai mutamenti tecnologici e sociali in atto. Insomma nei palazzi governativi dell’ Europa del tempo si alimentava “la grande illusione” che un’eventuale guerra, avrebbe risolto i diversi problemi della società, sarebbe stata breve e soprattutto l’ultima. Come sappiamo le cose sono andate ben diversamente e guardando alle sue conseguenze e agli eventi del secolo “breve” gli storici sono concordi nell’affermare che essa non è ancora terminata.
Anche nell’Europa d’oggi, pur alle prese con una crisi economica globale e sotto la minaccia del terrorismo di carattere religioso, si osserva qualche spiraglio di ottimismo, legato ad alcuni segnali di successo della diplomazia internazionale: l’accordo sulla distruzione delle armi chimiche in Siria, l’apertura, senza precedenti, di un dialogo diretto tra gli Stati Uniti e l’Iran, la formazione di una coalizione di Stati, con la partecipazione di alcuni Paesi arabi, allo scopo di combattere l’ISIS.
Tuttavia, rimangono ancora situazioni di crisi che minano la pace mondiale: si aggravano le tensioni tra la Cina ed il Giappone in Asia, in presenza dell’incognita nucleare della Corea del Nord; si fa più consistente la minaccia di Al Qaeda nelle rivolte mediorientali ed africane indebolendo e spesso rovesciando il senso delle primavere arabe; si assiste al deteriorarsi della situazione in Siria, in Afghanistan ed in Iraq, con la costituzione del cosiddetto “califfato” ad opera dell’ISIS.
Recentemente si è sviluppata la crisi in Ucraina, con implicazioni dirette sui rapporti tra le due maggiori potenze nucleari, gli Stati Uniti e la Russia. Ne è seguita la reazione della Russia di Putin, volta ad impedire un allargamento della NATO e dell’Europa a est e che ha comportato la secessione-annessione della Crimea e forti pressioni politiche e militari sulle regioni russofone, nel Sud-Est della stessa Ucraina.
In tale quadro sembra ripetersi in Ucraina la situazione della Serbia un secolo dopo. Fortunatamente, la situazione geopolitica, economico, militare dell’Europa oggi è profondamente diversa da quella della prima metà del Novecento. Le organizzazioni internazionali e le alleanze politico-militari da 70 anni garantiscono la pace, la globalizzazione ha interconnesso la situazione di ciascun Paese a quella degli altri Stati nel mondo. Tale sistema,  sebbene fragile, non può essere distrutto da una prova di forza unilaterale. Nel mondo di oggi sono in atto “scosse di assestamento” volte alla realizzazione di un nuovo equilibrio geopolitico  che segue l’era “bipolare” (Stati Uniti-Unione Sovietica) e quella “unipolare” (Stati Uniti sola superpotenza), dopo il crollo dell’impero comunista.
Come nei terremoti, le scosse che si susseguono vanno tenute sotto controllo, con prudenza e determinazione, per evitare che una scossa (guerra) inattesa, più forte delle precedenti, distrugga quanto si è costruito per la pace, dopo il conflitto mondiale di cento anni fa.  A un tale controllo dovrebbe poter partecipare, con l’autorità necessaria, l’Unione Europea, nata proprio per reazione alle tragedie del Novecento.
In alternativa, con un’Europa debole e divisa politicamente, si dovrà pagare un prezzo altissimo per il riequilibrio globale, ove la Russia impiegherà ogni mezzo per tornare protagonista sulla scena mondiale e gli Stati Uniti saranno sempre più coinvolti nelle grandi sfide del Pacifico.

12 giugno 2015

SOLDATI




 Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie
 di Giuseppe Ungaretti

 
Nelle parole del poetac’è il senso della tragedia esistenziale del  primo conflitto mondiale: i versi sono scritti in trincea presso il bosco di Courton, vicino a Reims. A questo sentimento si associa l’estrema brevità del testo, che sembra quasi una fulminante scoperta della condizione assurda in cui versano i “soldati”, a cui si può facilmente sostituire il termine “uomini”. Soldati infatti può essere letta anche come una riflessione, breve ma assai incisiva, sull'assurdità dell'intera condizione umana e sulla sua intrinseca finitudine, che non può in alcun modo sfuggire al dolore e alla morte. I soldati, paragonati a rade foglie autunnali appese a fatica agli alberi, cadranno inevitabilmente, vittime di una legge universale spietata ed implacabile.

19 aprile 2014

Quando la pace appare scontata

It is five minutes to midnight. Mancano 5 minuti a mezzanotte, cioè all'autodistruzione, secondo il Bulletin of Atomis Scientist. Dalla creazione degli ordigni nucleari nel 1947 a oggi, le lancette dell orologio dell'Apocalisse sono state spostate 20 volte: ogni movimento testimonia un passo avanti o indietro verso un mondo senza armi di distruzione di massa. Non esiste alcun dubbio sulla direzione che prenderebbero le lancette se gli USA decidessero per l’intervento armato in Siria, con Assad che si dichiara pronto al conflitto mondiale.Il Cremlino si è subito schierato a favore del regime di Damasco. Impossibile non pensare alle dinamiche della guerra fredda e, soprattutto, agli arsenali nucleari delle potenze del pianeta.
Oggi i Paesi che dichiarano di possedere armi atomiche sono USA, Russia, Francia, UK, Cina, India, Pakistan e Corea del Nord. Autorevoli analisti dei servizi segreti ritengono che sia probabile che anche Israele ne sia in possesso; ufficialmente però non ha mai ammesso l’esistenza di un programma nucleare a scopo bellico. Si ritiene che l’Iran, invece, non abbia ancora prodotto un ordigno, ma non si esclude che possa svilupparlo. Per motivi strategici e di sicurezza i programmi nucleari di ogni nazione sono segreti; tuttavia secondo le stime fornite dai rapporti di organizzazioni indipendenti non-profit come la Federation of American Scientist esistono oltre 17000 testate, dislocate sia nei Paesi che le hanno prodotte e ne detengono il controllo sia negli stati alleati (come prevede il programma di Condivisione Nucleare della Nato).

13 febbraio 2013

Il programma F35


L’esigenza primaria della difesa aerea italiana è di sostituire i velivoli AV-8B Harrier della Marina e gli AMX e i Tornado dell’Aeronautica, a partire dalla metà del prossimo decennio con un aereo multiruolo di ultima generazione. 
Nel 1994 l’allora Ministro della Difesa Beniamino Andreatta avviò la fase esplorativa per la partecipazione italiana al programma “JSF”, nell’ottica di un’adesione ad un progetto multinazionale che dal punto di vista tecnologico operasse su livelli di eccellenza, promuovesse l’interoperabilità tra forze aeree dei Paesi NATO e si preoccupasse del contenimento dei costi. Ad oggi si è conclusa la fase della sperimentazione e dello sviluppo alla quale hanno partecipato complessivamente, oltre agli Stati Uniti, altri otto Paesi: Regno Unito (unico partner di Primo Livello), Italia ed Olanda (partner di Secondo Livello), Australia, Canada, Danimarca, Norvegia e Turchia (partner di Terzo Livello). 
Il Joint Strike Fighter (JSF) F 35 è un velivolo multi-ruolo con uno spiccato orientamento per l’attacco aria-suolo, a bassa osservabilità radar (stealth ) e quindi ad elevata sopravvivenza, in grado di utilizzare un’ampia gamma di armamento e capace di operare da piste semi-preparate o deteriorate, pensato e progettato per quei contesti operativi che caratterizzano le moderne operazioni militari e le missioni internazionali di peacekeeping. 
In particolare, può soddisfare un ampio spettro di missioni, a conferma della notevole versatilità della macchina, assolvendo compiti di operazioni di proiezione in profondità del “potere aereo”, di soppressione dei sistemi d’arma missilistici avversari e di concorso al conseguimento della superiorità aerea. 
Inoltre può offrire un ottimo supporto ravvicinato alle forze di superficie e svolgere una determinante azione di raccolta, elaborazione e distribuzione in rete di dati e immagini, grazie ai sofisticatissimi sensori di cui è dotato. Questa importante e peculiare capacità permetterà, in maniera assolutamente innovativa e a fronte della propria eccellenza sensoriale, di poter concorrere anche a missioni di supporto alla Protezione Civile e ad altri Enti e Agenzie di natura civile. 
Inoltre, il progetto prevede anche importanti opportunità e ricadute sull’industria italiana, in termini di partecipazione industriale al lavoro e di trasferimento di tecnologie. 
Infatti, oltre all’acquisizione di un velivolo da combattimento di quinta generazione che progressivamente sostituirà altri più vetusti e obsoleti, ricopre un’importanza strategica la realizzazione sul territorio italiano, presso la base dell’Aeronautica Militare di Cameri, di una linea di assemblaggio finale, manutenzione e aggiornamento, l’unica al di fuori degli Stati Uniti, denominata FACO/MRO&U (Final Assembly and Check Out/Maintenance, Repair, Overhaul & Upgrade).

8 febbraio 2012

Nikolajewska e gli alleati

Nikolajewka fu una grande vittoria, la vittoria della disperazione. La battaglia venne combattuta e vinta dalla "Tridentina", ma anche la "Cuneense", la "Julia" e la "Vicenza" contribuirono con il loro sacrificio alla salvezza del grosso del Corpo d'Armata Alpino. Pur operando in posizioni di fiancheggiamento e di retroguardia, queste tre unità impegnarono ingenti forze sovietiche alleggerendo in questo modo la pressione sulla divisione di Reverberi. Il 27 gennaio, i resti della "Cuneense", ormai all'estremo limite della resistenza umana, furono circondati e catturati a Valuiki.
I superstiti del Corpo d'Armata Alpino, tornati in Italia, raccontarono la loro esperienza. Parlavano con entusiasmo della popolazione ucraina e con odio degli "alleati" tedeschi. Di seguito alcuni commenti da una relazione dell'Ufficio storico dello Stato Maggiore dell'Esercito Italiano:
"La popolazione ucraina - per pietà, simpatia o per ordine ricevuto dalle autorità russe - fu sollecita nell'alleviare sofferenze, offrì da mangiare, vestire e possibilità di riposo ai soldati dell'Armir".
E i tedeschi? Dice la stessa relazione: "Dalle isbe, a mano armata, venivano cacciati i nostri soldati per far posto a quelli tedeschi; nostri autieri, a mano armata, venivano obbligati a cedere l'automezzo; dai nostri autocarri venivano fatti discendere nostri soldati, anche feriti, per far posto a soldati tedeschi; dai tren carichi di nostri feriti venivano sganciate le locomotive per essere agganciate a convogli tedeschi; feriti e congelati italiani venivano caricati sui pianali dove alcuni per il freddo morivano durante il tragitto, mentre nelle vetture coperte prendevano posto militari tedeschi, non feriti, che, avioriforniti, mangiavano e fumavano allegramente quando i nostri soldati erano digiuni da parecchi giorni. Durante il ripiegamento, i tedeschi, su autocarri o su treni, schernivano, deridevano e dispregiavano i nostri soldati che si trascinavano a piedi nelle misere condizioni che abbiamo descritte; e quando qualcuno tentava di salire sugli autocarri o sui treni, spesso semivuoti, veniva inesorabilmente colpito col calcio del fucile e costretto a rimanere a terra".

1 febbraio 2012

Le spese del bilancio della difesa

Per poter procedere alla elaborazione tecnico-finanziaria del bilancio della difesa, le spese vengono articolate in spese vincolate "a leggi" e vincolate "a programmi".
Le spese vincolate "a leggi" sono quelle che rivestono carattere di obbligatorietà in quanto sono determinate, anche nella loro entità, da disposizioni di legge e/o da deliberazioni di natura governativa. Tali oneri sono soggetti ad automatismi che li rendono particolarmente rigidi proprio perché legati a leggi e/o accordi interministeriali o internazionali. Esse possono includere anche esigenze particolari orientate a servizi di pubblica utilità quali, ad esempio, il rifornimento idrico delle isole minori, l'attività a favore dell'Aviazione civile, il trasporto aereo civile di Stato e per il soccorso di malati e traumatizzati gravi. Le spese vincolate "a programmi" sono quelle destinate ad assicurare la funzionalità, l'efficienza e l'efficacia dello strumento militare e discendono dalle scelte programmatiche individuate dagli Stati Maggiori, dal Segretariato Generale della Difesa e dal Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri (denominati Organi Programmatori di Vertice di Forza Armata ed Interforze - O.P.) ed approvate dal Capo di Stato Maggiore della Difesa.
Successivamente, per la formazione del bilancio, le spese vengono articolate in tre distinti "settori":
- personale, relative agli oneri da sostenere per gli stipendi e le indennità del personale militare in servizio permanente, del personale civile con rapporto di impiego continuativo, per il trattamento economico del personale di leva nonchè per il trattamento provvisorio di quiescenza del personale militare;
- esercizio, relative agli oneri necessari per garantire la funzionalità e l'efficienza dello strumento militare (spese per la formazione e l'addestramento, per la manutenzione e supporto dei mezzi, materiali e infrastrutture, per il funzionamento dei Comandi/Enti/Reparti);
- investimento, relative agli oneri necessari al miglioramento dell'efficacia dello strumento militare (spese per l'ammodernamento ed il rinnovamento dei mezzi operativi, di supporto tecnico-logistico e delle infrastrutture e per la ricerca e sviluppo).
I primi due settori (personale ed esercizio) determinano gli oneri relativi al "funzionamento" delle Forze Armate, mentre l'ultimo attiene all'acquisizione di beni durevoli, che a loro volta producono sicurezza e progresso tecnologico.

3 gennaio 2012

Fine in Iraq della NATO training mission

Nel dicembre scorso, con la fine della missione statunitense in Iraq, si è conclusa anche la NATO TRAINING MISSION .
Il Generale Armentani, nel consegnare il vessillo nazionale al Dott. Di Porcia, si è così espresso: "Per più di sette anni, militari italiani di tutte le Forze Armate si sono avvicendati in questa missione della NATO insieme a colleghi di svariate nazioni dando invariabilmente prova di grande professionalità ed esemplare dedizione".
Detta missione avviata su richiesta del Governo iracheno, ha assistito le Forze di Sicurezza irachene fornendo addestramento, consulenza e mentoraggio.
I risultati ottenuti sono di pieno successo.Le cifre contribuiscono a confermarlo: circa 11.000 i poliziotti addestrati dai nostri Carabinieri; approssimativamente 4.000 gli Ufficiali qualificati presso vari Istituti militari di formazione (Scuola di Guerra, Accademia Militare e Istituti Superiori di Stato Maggiore); 360 i Sottufficiali che hanno superato il corso di categoria. Inoltre, sono stati organizzati numerosi corsi di specializzazione al fine di creare una capacità autonoma degli Iracheni in termini di pianificazione e condotta addestrativa. Ora le Forze di Sicurezza irachene sono in condizione di operare con autosufficienza e competenza.

28 febbraio 2011

Afghanistan crescente rischio di attacchi

In un nuovo attacco contro i soldati italiani in Afghanistan è caduto il Ten. Massimo Ranzani, del 5° Rgt. Alp. di Vipiteno. Altri quattro militari sono rimasti feriti.
Recentemente nella relazione consegnata al Parlamento da parte dei Servizi d’Intelligence era stato riportato che nell'ovest dell'Afghanistan la situazione era particolarmente a rischio. L’avvicinarsi della fine dell’inverno e la costante pressione delle Forze ISAF verso quelle regioni aveva spinto l'Aise - l'Agenzia per la sicurezza esterna - a diffondere negli ultimi mesi diversi warning che hanno determinato un innalzamento delle misure di sicurezza poste a protezione dei militari italiani. Esse hanno consentito di sventare numerosi attentati, ma non sono riuscite del tutto a neutralizzare la minaccia degli Ied, gli ordigni esplosivi artigianali su cui oggi è saltato il Lince a Shindand. È per questo che nelle note informative e nelle relazioni ufficiali gli uomini dell'intelligence continuano a ripetere che proprio le bombe artigianali e le imboscate lungo le strade interessate dal transito dei mezzi della coalizione, restano le tecniche «privilegiate» dalla guerriglia, così come il lancio di razzi verso le basi avanzate di ISAF. Nè si può escludere che nei prossimi mesi, gli insorti, alla ricerca di visibilità, possano «condurre azioni che contemplino l'utilizzo contemporaneo di attentatori suicidi e gruppi di fuoco».
Nell'analisi inviata al Parlamento i servizi ribadivano dunque che l'Afghanistan è tutt'altro che pacificato: un paese, anzi, con un «quadro istituzionale destinato a permanere instabile per le lacerazioni interne e per la difficoltà di reinserire la componente moderata dei talebani nella vita politica del Paese». E per questo che nel «breve-medio termine il personale straniero, militare e civile, sarà notevolmente esposto al rischio di azioni ostili». Un rischio che per i nostri militari è rappresentato soprattutto dal «riposizionamento in area di miliziani» provenienti dalla province meridionali dell'Afghanistan dove le operazioni di «contro-insorgenza», avviate nel 2010 dalle forze di sicurezza dei reparti afghani assieme all'ISAF, sono state particolarmente intense.