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18 giugno 2006

Missioni per la pace

Molto spesso i media ed alcuni esponenti del pacifismo nostrano considerano l’impegno di determinati soggetti verso le popolazioni meno fortunate o affette da crisi interne, derivanti da conflitti, politici, economici, sociali e militari, missioni di pace (a sottolinearne lo scopo positivo universalmente riconosciuto) e non pongono la dovuta attenzione a coloro, in uniforme, che affrontano disagi e pericoli per sostenere, aiutare le popolazioni interessate, creare le condizioni di sicurezza per l’avvio dei processi di pace. Esiste il paradosso che l’aiuto e il soccorso fornito, forse in modo diverso, ma altrettanto efficace, da un’organizzazione umanitaria sia nobile e legittimato ed invece se portato da contingenti militari sia da proscrivere in quanto artefice di ulteriori divisioni e conflitti. Se la pace nel mondo è un obiettivo che ogni uomo di buon senso deve perseguire, personalmente ritengo che il sostenere popolazioni meno abbienti solo in un determinato settore (sanitario, alimentare, economico, militare), senza considerare l’insieme delle altre necessità può creare forti squilibri che per assurdo vanno contro la pace in quella società. Per esempio in Somalia gli aiuti umanitari e/o militari non hanno portato la pace in quel popolo. Ora le organizzazioni umanitarie che intervengono in un’ area di crisi, pur risolvendo una o più situazioni di disagio, da sole, non potranno mai portare la pace quando la popolazione è divisa da conflitti interni. Le nuove missioni delle forze armate italiane volte alla pacificazione e alla stabilizzazione istituzionale nelle aree di crisi sono sicuramente portatrici di sicurezza e quindi di pace e per questo, senza voler togliere il merito per quanto di buono portano le organizzazioni umanitarie, a pieno titolo possono essere chiamate missioni per la pace.

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