La ricorrenza di cento anni dalla deflagrazione della prima guerra
mondiale, scaturita dall’uccisione a
Sarajevo dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria, erede al trono degli Asburgo, sembra rievocare un’epoca ed eventi tragici lontani, molto diversi
da quelli del mondo odierno. Documenti, fotografie (tecnica disponibile per
la prima volta), libri, film, testimoni
oculari ci hanno tramandato, negli anni,
gli orrori ed i massacri della grande guerra, inutile strage, così definita dal Papa Benedetto XV. Essa fu innescata dalle contraddizioni politiche esistenti tra gli imperi e le
nazioni europee e dai fermenti culturali del tempo, influendo in modo
determinante sui cambiamenti (la
Rivoluzione sovietica, il Fascismo, il
Nazismo, la Seconda guerra mondiale, la guerra fredda) che segnarono tutto il
xx secolo.
In occasione di questo anniversario osservatori internazionali e storici cercano di tracciare
un parallelo tra la situazione europea di quegli anni e quella dei giorni nostri. Per tale
raffronto, tralasciando, per brevità di trattazione, l’articolazione
geopolitica dell’Europa, la descrizione
delle alleanze, i fatti storici, i dati impressionanti del conflitto, ecc.. è
opportuno considerare la prevalente concezione politica e gli elementi
culturali che vigevano in Europa all’inizio del ‘900.
La convinzione della propria potenza portava le varie nazioni a temere
e a contrastare l’affermazione degli altri
Stati, specie quelli confinanti, dimostrando di non avere alcuna paura di
entrare nella contesa per il potere mondiale. Esisteva in ogni settore della società una disponibilità
culturale alla guerra: dai vertici politici e militari, ai dirigenti e agli
industriali per i quali essa rappresentava un “toccasana” per ogni problema e una
occasione dalla quale trarre qualche vantaggio. Alla base di tutto, c’era la
mancata percezione delle conseguenze distruttive di un tale evento, connesse ai
mutamenti tecnologici e sociali in atto. Insomma nei palazzi governativi dell’
Europa del tempo si alimentava “la grande illusione” che un’eventuale guerra,
avrebbe risolto i diversi problemi della società, sarebbe stata breve e
soprattutto l’ultima. Come sappiamo le cose sono andate ben diversamente e guardando
alle sue conseguenze e agli eventi del secolo “breve” gli storici sono concordi
nell’affermare che essa non è ancora terminata.
Anche nell’Europa d’oggi, pur alle prese con una crisi economica
globale e sotto la minaccia del terrorismo di carattere religioso, si osserva
qualche spiraglio di ottimismo, legato ad alcuni segnali di successo della
diplomazia internazionale: l’accordo sulla distruzione delle armi chimiche in
Siria, l’apertura, senza precedenti, di un dialogo diretto tra gli Stati Uniti
e l’Iran, la formazione di una coalizione di Stati, con la partecipazione di
alcuni Paesi arabi, allo scopo di combattere l’ISIS.
Tuttavia, rimangono ancora situazioni di crisi che minano la pace
mondiale: si aggravano le tensioni tra la Cina ed il Giappone in Asia, in presenza
dell’incognita nucleare della Corea del Nord; si fa più consistente la minaccia
di Al Qaeda nelle rivolte mediorientali ed africane indebolendo e spesso rovesciando il senso delle primavere arabe;
si assiste al deteriorarsi della situazione in Siria, in Afghanistan ed in Iraq,
con la costituzione del cosiddetto “califfato” ad opera dell’ISIS.
Recentemente si è sviluppata la crisi in Ucraina, con implicazioni
dirette sui rapporti tra le due maggiori potenze nucleari, gli Stati Uniti e la
Russia. Ne è seguita la reazione della Russia di Putin, volta ad impedire un
allargamento della NATO e dell’Europa a est e che ha comportato la
secessione-annessione della Crimea e forti pressioni politiche e militari sulle
regioni russofone, nel Sud-Est della stessa Ucraina.
In tale quadro sembra ripetersi in Ucraina la situazione della Serbia
un secolo dopo. Fortunatamente, la situazione geopolitica, economico, militare dell’Europa
oggi è profondamente diversa da quella della prima metà del Novecento. Le
organizzazioni internazionali e le alleanze politico-militari da 70 anni
garantiscono la pace, la globalizzazione ha interconnesso la situazione di
ciascun Paese a quella degli altri Stati nel mondo. Tale sistema, sebbene fragile, non può essere distrutto da
una prova di forza unilaterale. Nel mondo di oggi sono in atto “scosse di
assestamento” volte alla realizzazione di un nuovo equilibrio geopolitico che segue l’era “bipolare” (Stati
Uniti-Unione Sovietica) e quella “unipolare” (Stati Uniti sola superpotenza), dopo
il crollo dell’impero comunista.
Come nei terremoti, le scosse che si susseguono vanno tenute sotto
controllo, con prudenza e determinazione, per evitare che una scossa (guerra) inattesa,
più forte delle precedenti, distrugga quanto si è costruito per la pace, dopo
il conflitto mondiale di cento anni fa. A
un tale controllo dovrebbe poter partecipare, con l’autorità necessaria,
l’Unione Europea, nata proprio per reazione alle tragedie del Novecento.
In alternativa,
con un’Europa debole e divisa politicamente, si dovrà pagare un prezzo altissimo
per il riequilibrio globale, ove la Russia impiegherà ogni mezzo per tornare
protagonista sulla scena mondiale e gli Stati Uniti saranno sempre più
coinvolti nelle grandi sfide del Pacifico.