Il clima in cui si sono svolti recentemente gli incontri internazionali alla Casa Bianca, per discutere della pace in Ucraina, rende quanto mai attuale il significato della fiaba “lupus et agnus”, una lontana reminiscenza degli studi di scuola media. La raccolta delle favole di Fedro (autore romano, nato il 20 A.C. e morto il 50 D.C.) si apre con questo racconto memorabile, che descrive in modo figurato l’eterna lotta tra il più forte e il più debole, destinato inevitabilmente a soggiacere. Il poeta prendeva spunto dalla realtà del suo tempo dove i due animali rappresentavano l’arroganza del potere verso il più debole, oggetto di prevaricazione, abuso e sopraffazione. In particolare, questo comportamento malvagio è descritto nei paragrafi seguenti:
“Perché osi intorbidarmi l’acqua?”,
disse il lupo.
L’agnello tremando rispose: “Come
posso fare questo se l’acqua scorre da te a me?”
“È vero, ma tu sei mesi fa mi hai
insultato con brutte parole”.
“Impossibile, sei mesi fa non ero
ancora nato”.
“Allora” riprese il lupo “fu
certamente tuo padre a rivolgermi tutte quelle villanie”. Quindi saltò addosso
all’agnello e se lo mangiò.
La tradizione del sacrifico
propiziatorio alla divinità è stata successivamente reinterpretata dal Cristianesimo
che ha simbolicamente identificato la figura del Cristo, con quella
dell’agnello, che si è sacrificato sulla croce per redimere gli uomini dai loro
peccati. Il lupo, invece, nel tempo ha assunto le sembianze della malvagità,
della cupidigia e della prepotenza, raffigurando i vizi tipicamente umani, pur
essendo un animale dal comportamento sociale intelligente. Al riguardo, si
ricorda il lupo sanguinario di Gubbio, ammansito da S. Francesco o il lupo
cattivo della fiaba dei Fratelli Grimm, Cappuccetto rosso. Quindi le figure del
lupo e dell’agnello hanno acquisito importanza, grazie all’immaginazione popolare
che ha proiettato su di esse paure, speranze, insicurezze e conflittualità.
Carl Gustav Jung, noto psichiatra, filosofo, antropologo svizzero, afferma che il mondo contemporaneo è popolato di una strana, nuova specie di lupo. Si tratta del lupo narcisista che fa leva sulle debolezze altrui per affermare il proprio ego e nascondere le sue fragilità. Pertanto egli manipola le sue vittime e si ciba metaforicamente di loro, comportandosi come se fosse lui il martire, in quanto incompreso. Apparentemente, è magnanimo nei confronti degli “agnelli”, anche quando li fa a pezzi e li divora. Si meraviglia quando qualcuno di essi accenna a un moto di ribellione o di repulsione. Questi individui, di fatto, indossano la maschera dell’ipocrisia. Ed è una maschera che, oggi, ricopre i responsabili di alcuni settori della nostra società. Può essere il governante che afferma di lavorare e impegnarsi per il bene dei sottoposti, mentre, invece, cura prevalentemente gli interessi di parte e personali. È il politico che lotta contro le disuguaglianze, in nome della correttezza istituzionale, quando invece limita ogni espressione critica degli altri. È colui che, fingendo amore e sensibilità, deruba e saccheggia, sfruttando ogni situazione, per poi fuggire di fronte alle proprie responsabilità, lasciando solo scheletri vuoti.
La favola del lupo e dell’agnello è tra le più famose e riproposte in varie epoche perché il suo tema è universale e ricorrente in contesti storico-sociali diversi, dove esistono: la volontà di sopraffazione dei potenti nei confronti dei più deboli, le subdole giustificazioni del potere, l’inevitabile sconfitta di chi osa opporsi nonostante i suoi conclamati diritti. In tale contesto, si può dedurre con rammarico che a nulla vale, contro la brutalità del più forte, la verità del più debole.