L’identità
di uno Stato si basa su elementi, storico-culturali, politici, religiosi, i
quali rappresentano, nel loro insieme, il patrimonio che unisce i cittadini e
li caratterizza nei confronti di altre nazioni. Il dibattito sulla laicità
delle Istituzioni e l’importanza di
tenere vive le radici cristiano-cattoliche nella società italiana non ha ancora
portato a risultati concreti, anzi ha amplificato la difficoltà di sviluppare un
sentimento nazionale comune che esprima l’appartenenza a questo Paese. Per
risolvere il confronto laicità-religione tradizionale, presente in molte
comunità occidentali, si è affermato in epoca moderna il concetto di “religione
civile”, rilanciato negli Stati Uniti, nel 1967, ad opera del sociologo Robert Neelly Bellah, attraverso un profondo studio sulle
religioni. Tale pensiero si concretizza nella elaborazione di un insieme
di “modi
di dire, simboli e riti, tratti dalla
religione tradizionale, per rafforzare l’identità politica della società
civile, da realizzare mediante un’armonica compenetrazione tra potere politico
e potere religioso (Rusconi)”. In altre parole, alcuni elementi delle
religione tradizionale sono utilizzati per rinforzare l’identità politica della
comunità nazionale. Tutti noi ricordiamo, in tempi non molto remoti, che le manifestazioni
pubbliche in occasione delle ricorrenze patriottiche più significative,
comprendevano sempre la celebrazione
della S. Messa. La “religione civile” si differenzia dalla fede politica, in
quanto si colloca al di fuori delle ideologie politiche, entro il sistema
democratico e convive con diverse religioni tradizionali. L’argomento è entrato
nel dibattito attuale quando si è discusso, durante la stesura della
Costituzione europea, sulle radici cristiane dell’Europa e, allo stesso tempo, sulla
necessità di confrontarsi con nuove religioni e nuove culture, quali l’islam,
la Cina, l’India, ecc.. In Italia il tema appare di attualità in relazione alla
caduta e alla crisi dell’etica civile e pubblica (per corruzione, evasione
fiscale, criminalità, mafia, ecc..) e alle critiche avanzate dal mondo
cattolico, all’adesione, da parte delle Istituzioni dello Stato, a nuove
concezioni di libertà individuali e di diritti civili, in conflitto con i
principi della sua dottrina. D’altra parte, nel pensiero laico e ateo di un’altra
parte della nostra società, si fa strada sempre di più l’avversione verso i
simboli ed i riti religiosi, in
particolare di quelli riguardanti la
religione cattolica. Questa incapacità di considerare e rispettare le
sensibilità degli altri è la prova dell’esistenza di una profonda divisione
nella società italiana.
Molti studiosi (Galante Garrone, De
Luna,
Tullio-Altan, ecc.) ricordano che nel nostro Paese non si è formato ancora il
“patto di memoria”, il sentimento nazionale che si riconosce in una storia
condivisa. Essi individuano quali cause di tale carenza: la disaffezione dei
cittadini verso la cosa pubblica, il prevalere dei particolarismi in molti
settori sociali e dei campanilismi a livello territoriale, lo scarso potere
unificante dei simboli e dei miti (aspetti storico-culturali-politici) attorno
a cui è stata costruita la nazione. Molte analisi
sul tema individuano nelle responsabilità pubbliche e politiche il fattore prevalente
che ha impedito la formazione, nella nazione, di una “religione civile”. La
carenza di patriottismo repubblicano (Rusconi,
1997), di grandi riti capaci di scandire la vita pubblica, di un’idea alta
di nazione, è anche l’effetto del debole investimento operato al riguardo dalle
forze politiche e dai partiti che si sono succeduti nel corso degli anni. Essi
non hanno saputo o voluto “sacralizzare” i momenti e le figure importanti della
nostra storia.
In Italia, ma non solo,
c’è ancora molto da fare per unire i cittadini attorno all’idea di una
“religione civile”. Eppure questa è di fondamentale importanza per il sistema
politico e la classe dirigente, in quanto favorisce l’armonia ed il governo del
Paese, soprattutto nelle fasi di maggior rottura della società, quando la
tenuta dei legami sociali è più a rischio. “
Una Politica non in grado di produrre simboli si riduce alla semplice
amministrazione tecnica dell’esistente; è una Politica esangue, senza anima,
destinata a soccombere (De Luna, 2013, 11)”.
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