Nell'organizzare una missione per la pace che vede coinvolte le Forze Armate sorgono i soliti interrogativi. Nel Paese interessato, inanzitutto, non tutte le forze politiche sono d'accordo nel sostenere tali operazioni. Gli antimilitaristi vedono erose le utopie pacifiste con le quali hanno potuto mettersi in mostra, nel contesto nazionale, sostenendo i valori universali da tutti riconosciuti, ma altrettanto irragiungibili dopo il fratricidio di Caino.
I partiti di Governo hanno tutto l'interesse di mettersi in luce nell'arena internazionale, quali fautori di compromessi tesi a calmierare le tensioni e le crisi e quindi salvaguardare il buon nome ed il prestigio della propria Nazione. I partiti di opposizione fanno la loro politica per tornare al Governo del Paese. E le Forze Armate? Non possono che esprimere la dedizione ed il rispetto delle istituzioni per cui hanno prestato il loro giuramento.
Tuttavia, rimangono tutti i dubbi di una partecipazione "forzata", considerando la mancanza di risorse finanziarie, l'usura dei mezzi disponibili, la confusione in cui si muovono inizialmente le missioni sotto l ' egida dell'ONU.
Tutto come da copione. Anche per la futura missione di interposizione in Libano, nonostante una risoluzione dell'ONU, i principali Paesi europei si tirano indietro (Germania, Francia, Olanda, ecc..), l'Italia si comporta come da grande potenza offrendo addiritura un quinto delle forze richieste (3000 u.), pur consapevole che leadership, obiettivi da perseguire e compiti da assegnare alla forza internazionale restano misconosciuti. Eppure tutti concordano, in questo caos, che la missione sarà rischiosa, costosa e lunga. C'è sempre la speranza che il buon senso alla fine prevalga!
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