Dopo l’undici settembre, la necessità di sviluppare una strategia efficace contro il terrorismo internazionale, ha suggerito agli Stati Uniti di intraprendere la dottrina della guerra preventiva volta a recidere tale minaccia e a salvaguardare i principi di libertà e democrazia nelle aree più critiche del mondo. Basti pensare agli interventi in Iraq, Afghanistan.. ecc.. Le modalità di questi interventi sono basate su una grande disponibilità di uomini qualificati e mezzi sofisticati che fanno ritenere possibile un rapido ed efficace raggiungimento degli obiettivi. Si capisce anche l’atteggiamento della grande potenza che non può accettare una sconfitta evidente ed il suo atteggiamento di punire gli artefici di un attacco sul proprio territorio, così devastante, con pochi mezzi ed in modo assolutamente inaspettato.
Tuttavia le resistenze delle forze di opposizione ai governi locali hanno reso la partita difficile ed ancora da risolvere dopo più di tre anni. La sfida è ancora aperta e sembra ferma ad uno stallo. Viene da obiettare perché il principio della “sorpresa e della massiccia disponibilità di mezzi” tipici della moderna dottrina di attacco non ha funzionato?
In fondo si pagano sempre gli errori di valutazione della situazione locale, ed in particolare, dell’atteggiamento della popolazione nei confronti dei soldati stranieri, ritenuti occupanti, dell’alta opposizione ai cambiamenti da parte dei potentati politici, religiosi, tribali interessati, della possibilità del terrorismo, non ben identificato e quantificato, di rigenerarsi con forze nuove, ecc..
Se il principio della sorpresa e della massiccia disponibilità di mezzi non ha dato risultati cosa fare allora? E’ certamente improponibile una corsa agli armamenti per far sì che la grande potenza possa prevalere, per questioni ideologiche, culturali e di prestigio internazionale. L’alternativa appare l’incentivazione della cooperazione e dello sviluppo, economico e sociale, per creare “il brodo di coltura” su cui avviare il dialogo, la fiducia, ed innestare i principi di democrazia e libertà. I risultati ci saranno? Probabilmente si faranno attendere a lungo anche in questo caso, ma saranno evitate stragi di innocenti e spreco di risorse per cause irraggiungibili.
Tuttavia le resistenze delle forze di opposizione ai governi locali hanno reso la partita difficile ed ancora da risolvere dopo più di tre anni. La sfida è ancora aperta e sembra ferma ad uno stallo. Viene da obiettare perché il principio della “sorpresa e della massiccia disponibilità di mezzi” tipici della moderna dottrina di attacco non ha funzionato?
In fondo si pagano sempre gli errori di valutazione della situazione locale, ed in particolare, dell’atteggiamento della popolazione nei confronti dei soldati stranieri, ritenuti occupanti, dell’alta opposizione ai cambiamenti da parte dei potentati politici, religiosi, tribali interessati, della possibilità del terrorismo, non ben identificato e quantificato, di rigenerarsi con forze nuove, ecc..
Se il principio della sorpresa e della massiccia disponibilità di mezzi non ha dato risultati cosa fare allora? E’ certamente improponibile una corsa agli armamenti per far sì che la grande potenza possa prevalere, per questioni ideologiche, culturali e di prestigio internazionale. L’alternativa appare l’incentivazione della cooperazione e dello sviluppo, economico e sociale, per creare “il brodo di coltura” su cui avviare il dialogo, la fiducia, ed innestare i principi di democrazia e libertà. I risultati ci saranno? Probabilmente si faranno attendere a lungo anche in questo caso, ma saranno evitate stragi di innocenti e spreco di risorse per cause irraggiungibili.
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