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26 ottobre 2007

Restrizioni economiche USA verso i Pasdaram(Iran)

Il 25 ottobre scorso, gli Stati Uniti hanno annunciato una serie di sanzioni contro i Guardiani della rivoluzione iraniana (Pasdaran) e la loro forza d’élite, al-Qods, accusando Teheran di aiutare i terroristi in Iraq ed in altre parti del mondo, di esportare missili e di procedere nella fabbricazione di armi nucleari.
Le sanzioni annunciate ieri dal segretario di Stato Condoleeza Rice e dal ministro del Tesoro Henry Paulson sono, senza precedenti e rivolte alla struttura militare dell’Iran. Esse sono le più dure adottate dagli Usa dopo la presa degli ostaggi all’ambasciata americana a Teheran, nel 1979. Le sanzioni prendono di mira oltre 20 istituzioni e individui comprese tre banche iraniane (Bank Melli, Bank Mellat e Bank Saderat), congelando tutti i beni negli Usa e mettendo al bando ogni transazione commerciale con i soggetti inclusi nella lista dei “terroristi globali”.
La Rice ha accusato ieri l’Iran di comportarsi in modo “irresponsabile”, perseguendo una politica “di comportamenti minacciosi”. Il segretario di Stato non ha chiuso la porta alla diplomazia sottolineando che gli Stati Uniti continuano a restare aperti ad una “soluzione diplomatica”. Ha evidenziato anche che «purtroppo il governo iraniano continua a rifiutare l’offerta degli USA per negoziati aperti, preferendo invece minacciare la pace e la sicurezza realizzando tecnologia nucleare che può portare alla produzione di armi, creare pericolosi missili balistici, sostenere i militanti sciiti e i terroristi in Iraq, Afghanistan, Libano e nei territori palestinesi, minacciando di distruggere Israele. Il ministro del Tesoro Paulson ha spiegato, prendendo la parola subito dopo la Rice, che l’Iran trasferisce ogni anno, attraverso il sistema bancario, diversi milioni di dollari per aiutare i gruppi terroristi. «È sempre più probabile che coloro che hanno rapporti d’affari con l’Iran li abbiano, inevitabilmente, anche con la Guardia Rivoluzionaria», ha affermato Paulson.

17 settembre 2007

Darfur: nuova missione di peacekeeping per l’Italia.

Il 31 luglio scorso il Consiglio di sicurezza ha votato la risoluzione n.1769 per il dispiegamento di una missione multinazionale ONU-UA, di 26 mila soldati, nel Sudan e Ciad a protezione dei profughi del Darfur. Nella regione Centroafricana è presente un elevato numero di profughi, stimati dall'Alto commissariato ONU per i rifugiati (Unhcr) in circa 50 mila. Inoltre, dal 2003 sono stati uccise più di 200 mila persone nel Darfur, soprattutto civili. Il fenomeno ha inevitabilmente accresciuto la fuga dalla regione occidentale sudanese.
Dopo lunghe trattative, la risoluzione dell’ONU prevede, entro ottobre, lo spiegamento di oltre 26mila uomini della forza di pace. La missione, autorizzata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, si chiamerà Unamid. Non sarà solo l’ONU a gestirla: si tratterà, infatti, di un “ibrido” in cui entreranno a far parte anche i circa 7mila uomini dell’Unione Africana (UA), già impegnati nella regione. Il coinvolgimento dell’Unione Africana era del resto un passaggio obbligato per far accettare la missione a Khartoum. La forza ONU-UA sarà così composta: circa 19.500 militari, 360 osservatori, oltre 6.400 agenti di polizia, più di 3.700 civili. Essa rappresenta la più grande missione ONU finora attuata.
Dal 27 ottobre, inoltre, sotto il patrocinio delle Nazioni Unite, inizieranno a Tripoli, in Libia, i negoziati tra il governo di Khartoum ed i gruppi ribelli che non hanno mai sottoscritto i precedenti accordi.
Anche l'Italia, ha annunciato Prodi, intende fare la sua parte nella missione ONU che dovrebbe decollare nei prossimi mesi, mettendo a disposizione "mezzi di trasporto e strutture logistiche". Palazzo Chigi, ha infatti spiegato il presidente del Consiglio, sta discutendo con la Difesa di un possibile invio di "mezzi aerei e del personale necessario per farli funzionare". Un ulteriore impegno non era previsto per le Forze Armate italiane, ma i recenti sviluppi e le pressioni delle Nazioni Unite e del segretario generale Ban-Ki Moon, hanno evidentemente indotto l'Italia a prendere in considerazione la possibilità di un impegno diretto.

20 luglio 2007

Riunione Consiglio Supremo di Difesa (2/07/07)

Il Presidente della Repubblica, on. Giorgio Napolitano, ha presieduto il 2 luglio c.m., al Palazzo del Quirinale, una riunione del Consiglio Supremo di Difesa. Alla riunione hanno partecipato: il Presidente del Consiglio dei ministri, on. Romano Prodi; il Ministro per gli Affari esteri, on. Massimo D’Alema; il Ministro per l’Interno, on. Giuliano Amato; il Ministro per l'Economia e le finanze, dott. Tommaso Padoa Schioppa; il Ministro per la Difesa, on. Arturo Parisi; il Ministro per lo Sviluppo economico, on. Pierluigi Bersani; il Capo di stato maggiore della difesa, ammiraglio Giampaolo Di Paola. Hanno altresì presenziato alla riunione il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, on. Enrico Letta; il Segretario generale della Presidenza della Repubblica, consigliere di Stato Donato Marra; il Segretario del Consiglio supremo di difesa, Generale Rolando Mosca Moschini.
Nell’ambito del primo punto all’ordine del giorno, il Consiglio ha ripreso l'esame degli orientamenti per la ulteriore razionalizzazione dell’area Difesa, prendendo in considerazione le diverse ipotesi per la riqualificazione della spesa, con particolare riferimento alla consistenza ed alla composizione del personale.
Il Consiglio ha poi proceduto al consueto punto di situazione sulle operazioni in corso nei vari Teatri. In particolare, in considerazione dei positivi risultati finora conseguiti da UNIFIL ed in relazione all’avvio dei negoziati per il rinnovo del mandato della missione in scadenza a fine agosto, è stata evidenziata l’esigenza di intensificare l'azione politica e diplomatica volta a rafforzare la capacità delle autorità libanesi di controllare il proprio territorio nazionale, anche al fine di garantire un più elevato livello di sicurezza ai contingenti ivi operanti.
Per quel che concerne l’Afghanistan, il Consiglio ha rilevato la necessità che la Comunità Internazionale adotti con urgenza ogni possibile misura per migliorare il coordinamento delle forze ivi impiegate e la coerenza tra azioni ed obiettivi sul terreno, anche al fine di mantenere il giusto equilibrio fra le esigenze relative alla sicurezza e quelle funzionali al processo di consolidamento delle Istituzioni democratiche afgane.
Si è parlato, inoltre, sugli sviluppi del dibattito relativo allo status del Kossovo, nei suoi riflessi sul futuro delle missioni della NATO e dell’Unione Europea. Infine, nel prendere atto del dibattito in seno alla NATO circa la decisione statunitense di installare un sistema di difesa anti-missile nel quadro del proprio programma nazionale di difesa, il Consiglio ha convenuto di approfondire in una prossima riunione le risultanze degli studi avviati al riguardo in seno all’Alleanza, anche in funzione di un possibile impegno collegiale di quest’ultima e per i suoi riflessi sui rapporti con la Russia.

11 giugno 2007

Parata militare in occasione della Festa della Repubblica

In occasione dell’anniversario della nascita della Repubblica italiana, tra le altre manifestazioni, è stata mantenuta anche quest’anno la tradizionale sfilata presso i fori imperiali di Roma. Questa manifestazione con il passare degli anni ha perso importanza, ed è stata anche sospesa, per il timore che essa potesse rappresentare una dimostrazione di forza ingiustificata nell’ambito di una società sempre più agitata da frange politiche pacifiste. E’ stata poi ripresa per espresso volere dell’ex Presidente della Repubblica Ciampi, non senza contrasti, per creare attorno ad essa quel sentimento nazionale che in Italia ancora manca. Anche quest’anno è stata condotta con limitazioni di uomini e mezzi, ed è stata accompagnata da sittings di pacifisti in alcune città, manifestazioni queste che hanno trovato un risalto mediatico maggiore della sfilata stessa.
In effetti la sfilata militare del due giugno, non ha mai avuto la finalità di dimostrare “la baldanza militare” del nostro Paese, in questo caso sarebbe più corretto parlare di debolezza, ma piuttosto di avvicinare alla società civile le Forze Armate, quale istituzione che opera per il Paese e che ha partecipato attivamente nel passato alla formazione della Repubblica. La sfilata dovrebbe rappresentare un’occasione per raccogliere attorno alla bandiera nazionale i vertici di governo, ma anche la popolazione per ricordare il sacrificio di tante persone cadute per l’ideale di patria e per dare un giusto riconoscimento ai soldati in armi che, indossando una divisa, con il loro lavoro danno sicurezza alle istituzioni.
Nel passato tra quei reparti sfilavano anche i giovani di leva, contenti di essere parte di una solida e sana istituzione nazionale. Credo che chi ha partecipato anche una sola volta abbia ancora impressa nella mente la fatica e nello stesso tempo la gioia di aver marciato alla sfilata del 2 giugno.
Oggi molte cose sono cambiate e si deve riconoscere che la sfilata non ha più lo scopo di avvicinare il mondo militare alla società civile, ma bensì di mantenere una tradizione nazionale. Con i soldati sfilano altre componenti della società, ogni anno sempre qualcuna di nuova, ciascuna con il “suo distintivo, sia esso un fazzoletto colorato, una divisa o una bandiera iridata , quasi per svilire l’importanza degli uomini in armi. In effetti quella del 2 giugno non è più una parata militare, così come è stata concepita alla nascita della Repubblica. Anche i valori che essa dovrebbe rappresentare, sono sempre meno sentiti dai cittadini che in tempi di “vacche magre” pensano più alle tasche che ai temi patriottici nazionali.
Forse è arrivato il tempo di pensare ad altre manifestazioni per festeggiare la Repubblica, con buona pace di tutti, pacifisti e non, politici e cittadini comuni, uomini delle forze armate ed impiegati delle varie amministrazioni.

27 aprile 2007

L’Armata della Liberazione

Centinaia di migliaia di soldati italiani, assieme a tanti altri concittadini, in patria, in Corsica, nei Balcani, in Grecia, in Albania, nella ex Jugoslavia, nelle isole dello Ionio e dell’Egeo, nei campi di prigionia, lottarono per il riscatto materiale e morale dell’Italia nel periodo piu’ buio della sua storia. Solo nel mese di settembre 1943 nelle localita’ citate caddero in combattimento circa 3000 militari.
Schematicamente la resistenza degli italiani, nelle sue tre componenti, e’ cosi ricordata sul monumento eretto a porta S. Paolo, a Roma: partecipanti alla guerra di liberazione delle forze armate regolari: 527.000 militari, di cui 413.000 dell’esercito, 83.000 della Marina e 31.000 dell’Aeronautica; lotta partigiana: 80.000 combattenti; resistenza degli internati nei campi di concentramento: 590.0000 militari. Sono da ricordare, in particolare, gli 87.000 militari caduti in combattimento.
L’Esercito, come noto, venne impegnato a fianco degli alleati anglo-americani, ampliando gradualmente nel tempo la sua cobelligeranza.
Inizialmente, dopo l’armistizio, venne costituita una Brigata, il primo raggruppamento motorizzato, il quale, nel dicembre 1943, fu inserito nella battaglia del Garigliano.
Prese quindi consistenza il Corpo italiano di liberazione, formato da due Divisioni e relativi supporti che entro’ in azione nell’estate 1944, per la liberazione dell’Italia centrale, giungendo fino al Metauro e alla linea gotica sugli Appennini.
Infine, si arrivo’ alla costituzione di una Armata, su sei Divisioni, i famosi Gruppi di combattimento, che operarono nell’inverno 1944 e nella primavera 1945 sulla linea gotica e nella battaglia finale.
Inoltre:
- Una Divisione, la Garibaldi, stanziata in Jugoslavia non si arrese e continuo’ a combattere a fianco dei partigiani slavi;
- Otto Divisioni ausiliarie, per tutta la durata della campagna assolsero importanti funzioni logistiche, ove si distinsero in particolare: le salmerie ed il genio da combattimento .
La Marina e l’Aeronautica operarono a fianco degli alleati su tutti i fronti.
Occorre ricordare gli atti di eroismo dei Carabinieri che hanno partecipato all’attivita’ di combattimento con l’Esercito e alla lotta partigiana. Essi hanno svolto altresi’ i compiti d’istituto sul territorio, per ordine del Governo italiano e degli alleati.
Numerosi sono gli episodi di valore della Guardia di Finanza impegnata sul territorio e sui mari, nonche’ in vere e proprie azioni di combattimento nei Balcani e durante la lotta partigiana in Jugoslavia. Ancora, come non ricordare le Unita’ militari della croce rossa nelle quali erano in forza le Infermiere volontarie, che si prodigarono nei presidi militari e negli ospedali da campo per la cura dei feriti, subendone le sorti .
Fu questa l’armata della liberazione alla quale dobbiamo la nostra libertà.

22 marzo 2007

Precariato dell’Esercito

Qualsiasi organizzazione per sviluppare le sue attività ha necessità di legare il proprio bilancio agli obiettivi da mantenere e conseguire, in un arco di tempo che varia dai 3 ai dieci anni. Il continuo mutare degli obiettivi o peggio la riduzione delle disponibilità finanziarie di bilancio rendono il sistema sempre più incontrollabile con conseguenze altrettanto imprevedibili sui risultati pianificati.
Con tagli all’ultimo momento sul bilancio della Difesa si colpiscono sempre più le spese di funzionamento, vale a dire quelle che riguardano il personale, l’addestramento, la manutenzione e la sicurezza dei mezzi e delle caserme. Per il numero degli effettivi e delle infrastrutture l’Esercito, di fatto, è la Forza Armata più colpita. Se poi si guardano agli impegni fuori area e la conseguente usura dei mezzi impiegati il dato appare ancora più significativo.
E’ altresì importante rilevare come sia colpito inevitabilmente tutto il sistema di reclutamento e formativo dei volontari che si affacciano alla vita militare.
La riduzione inevitabile, per motivi di bilancio, del numero degli effettivi incide sul numero dei volontari da inserire in servizio permanente negli organici delle Unità operative. Tale provvedimento, se da un lato contribuisce a ridurre le spese, toglie improvvisamente ad un certo numero di volontari “precari” la possibilità di ottenere l’inserimento nell’esercito “in servizio permanente”, aspettativa promessa e da loro coltivata con anni di preparazione e di duro lavoro. Sono anche vanificati gli sforzi dell’Istituzione, sia in termini di risorse impiegate per ottenere dei giovani professionisti addestrati, sia per tutte le attività volte ad incentivarne il reclutamento. E’ da considerare infine che l’insoddisfazione e l’amarezza degli esclusi rappresenta la peggiore pubblicità e propaganda per la Forza Armata.

14 marzo 2007

Difesa con la NATO, l’Europa o gli USA?

L’Alleanza Atlantica allargata, oltre a garantire la sicurezza a un maggior numero di Paesi comporta l’allungamento dei tempi decisionali e più difficoltà nel ricercare obiettivi condivisibili da tutti gli alleati.
L’intervento militare in Iraq, dapprima da parte degli anglo-americani per far crollare Saddam Hussein e successivamente della coalizione, su invito dell’ONU, per stabilizzare quel Paese, ha creato qualche malumore e risentimento all’interno degli alleati. Alcuni, tra cui l’Italia, hanno lasciato da mesi la missione ed ora la stessa Gran Bretagna annuncia il suo ritiro entro l’anno. Resteranno sul campo le forze armate USA, fino a quando….? Prima o poi anche la grande potenza sarà costretta a lasciare il Paese. Tuttavia l’Alleanza come tale non aveva alcuna responsabilità in Iraq.
La missione in Afghanistan, invece, è determinante per la credibilità della NATO in quanto un successo o una sconfitta può far cambiare gli equilibri ed i rapporti tra i Paesi alleati che, tuttavia, anche in quel teatro dimostrano di non seguire un’ unica strategia.
L’Europa politicamente debole, non ha ancora perfezionato una politica comune di difesa e appare non essere in grado di assumere iniziative condivise da tutti i suoi membri. Rimangono, pertanto, i rapporti bilaterali tra le diverse nazioni che si basano sul raggiungimento di comuni obiettivi, in campo politico, economico, sociale e nella sicurezza. In tale situazione sembra quantomeno singolare l’atteggiamento di alcuni Paesi europei, membri della NATO, di voler distanziarsi dagli Stati Uniti in materia di difesa. Ciò, può avere ripercussioni nei rapporti interalleati, tra i Paesi della Comunità Europea e nelle singole relazioni bilaterali.
Una delle conseguenze emerse recentemente per l’Italia è che, nonostante sia inserita nelle alleanze internazionali, non possa godere della protezione antimissile USA, per scelte poco lungimiranti di politica di difesa. Così dopo il missile “SCUD” del colonnello GHEDDAFI può rimanere sotto la minaccia dei missili a lungo raggio dell’Iran, si spera non dotati di testata nucleare.

15 gennaio 2007

La politica e i Comandanti militari

I responsabili politici ed il mondo militare sono legati dai rapporti istituzionali previsti dalla Costituzione e da leggi ad “hoc” che stabiliscono per ciascuno le sfere di competenza e responsabilità. Tali rapporti sembrano perciò chiaramente definiti e appare impossibile lo scambio dei ruoli. In realtà mentre il Comandante svolge un compito ben delineato nell’organizzazione militare e il suo “status” non gli consente di assumersi le responsabilità di altre istituzioni, le istituzioni rappresentative dello Stato e qualche suo membro possono influire, se non determinare, il comportamento del Comandante. Quando questa interferenza si verifica, il Comandante vede messa in discussione la sua professionalità per la quale ha profuso tanto impegno, studio e sacrificio personale e della famiglia. Allora è inevitabile il sorgere di un senso di frustrazione nei confronti dei superiori che lo dovrebbero tutelare e le istituzioni che dovrebbero salvaguardare la sua funzione, quale esponente delle Forze Armate, garanti della sicurezza dello Stato. Appaiono anche inefficaci le argomentazioni a difesa del proprio operato, quando certe decisioni sono prese nell’ambito della ragion di Stato, creata da quelle stesse istituzioni, che ha sempre preminenza rispetto alle giustificazioni del semplice cittadino e quindi anche di chi ha responsabilità nel mondo militare. Il Comandante viene quindi declassato, sostituito e talvolta allontanato, senza alcuna possibilità di difesa o diritto di replica. Può il potere politico diventare “umano” anche con questi servitori dello Stato?

20 dicembre 2006

Missioni militari per la pace

Gli scopi di tali operazioni vanno ben oltre il mantenimento della pace (peacekeeping).Esse si prefiggono di garantire la sicurezza e pacificare popolazioni in conflitto tra loro, portare assistenza ed aiuti a scopo umanitario, garantire l’insediamento ed il funzionamento delle istituzioni democratiche locali.
Poiché in dette situazioni spesso la pace non e’ l’obiettivo perseguito da tutti i gruppi e fazioni presenti sul terreno, è necessario intervenire in modo da convincere i più ostili, controllare odi e violenze, separare gruppi o fazioni in lotta tra loro, tutelare i diritti delle minoranze, ecc.. In questo ambito il rischio di scontri armati rimane elevato e diffuso e i soldati, quando giungono nel teatro operativo, devono anche difendersi per poter operare.
Dall’esigenza dell’autodifesa e dall’impiego militare di uomini e mezzi scaturisce l’obiezione: ma tali missioni sono veramente missioni per la pace? Il dubbio e’ comprensibile, ma la paradossale realta’ del mondo di oggi e’ che per dissuadere, convincere, pacificare sia necessario schierare forze armate in grado di svolgere, se necessario, operazioni militari ad alta intensita’ operativa. Per porre fine alla questione, più volte dibattuta anche in ambienti politici, circa l'opportunità di impiegare forze armate dotate di armamenti pesanti nella missioni di pace, il Capo dello Stato ha affermato recentemente che: «L'Italia ha bisogno dell'insieme delle Forze Armate, al più alto livello di modernità ed efficienza per adempiere i suoi doveri di partecipazione a quelle organizzazioni internazionali che, come recita l'articolo 11 della Costituzione repubblicana, sono impegnate ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni». Pertanto i dubbi sulla legittimità dell'impiego della forza in missioni di pace, al momento, sembrano rientrati.

2 novembre 2006

Esercito a Napoli

Si legge sui giornali di questi giorni che, ancora una volta, si pensa di risolvere i problemi della criminalità organizzata, a Napoli, mediante l'invio di reparti dell'Esercito. Al riguardo rimango colpito come le missioni degli anni novanta non abbiano insegnato nulla a certa classe politica. In passato, quando la situazione dell'ordine pubblico diventava incontrollata, si usava la carta di riserva, cioè l'impiego dell'Esercito, qualle deterrente e mezzo con il quale rassicurare l'opinione pubblica. Si trattava di situazioni derivanti da pubbliche calamità o da sollevazioni improvvise e temporanee di popolazioni che contestavano qualche decisione delle Autorità amministrative o di governo.
Negli anni novanta invece allo scopo di recidere la mafia, la camorra l'andrangheta, ecc.. per alcuni anni sono stati impiegati reparti dell'Esercito allo scopo di affiancare le forze di polizia nelle attività di controllo del territorio in alcune aree dell'Italia. Questà attività, è risultatata efficace durante il suo svolgimento, ma non ha portato a risultati concreti nel lungo periodo.
Ora si pensa di tornare nuovamente a quella soluzione senza tenere conto che molte cose sono cambiate nel frattempo. Inanzitutto, la disponibilità di "soldatini" da impiegare in economia, con il fucile e pochi mezzi di trasporto. Questa è diminuita sostanzialmente, sia per la sospensione della leva, sia perchè l'impiego dei professionisti è più costoso ed indicato per le numerose missioni avviate fuori dal territorio nazionale. Tra l'altro, il continuo assolvimento di compiti in aree di crisi, anche a lunga distanza dalla madre patria, ha sottoposto ad una elevata usura i mezzi dell'Esercito che sono al limite di sopravvivenza. L'Esercito d'altro canto, non è addestrato per gli obiettivi specifici di polizia ed inoltre non ha alcuna capacità di svolgere indagini sugli avvenimenti e quindi di prevenire il crimine.
D'altra parte si è reclutato un numero maggiore di effettivi dei Carabinieri (divenuti quarta forza armata) e di agenti della Polizia proprio per fronteggiare le emergenze di ordine pubblico nelle diverse parti del Paese. Pertanto esistono già le forze, appositamente addestrate, da impiegare nei compiti specifici di controllo della criminalità. Probabilmente è necessario siano impiegate meglio. Il ritorno all'Esercito ora non appare più giustificato "operativamente", ma solo come provvedimento di matrice politica.