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16 gennaio 2010

Aspettative sul disarmo e la non proliferazione nucleare.

A partire dal 2008 e grazie al clima inaugurato dalla nuova amministrazione americana, è emerso un nuovo atteggiamento nei confronti del disarmo e della non proliferazione. Nel gennaio dello stesso anno un gruppo di quattro noti ex funzionari americani ha pubblicato un influente articolo sul Wall Street Journal , articolo che ha successivamente ispirato diversi gruppi politici in alcuni paesi europei. Il messaggio generale ha invitato a un rilancio del disarmo nucleare.
Il Presidente Barack Obama ha affermato: “Dichiaro in modo chiaro e convinto l’impegno dell’America per la ricerca della pace e della sicurezza in un mondo senza armi nucleari” ed ha anche ribadito chiaramente gli obiettivi del trattato di non proliferazione ( Npt): “I Paesi in possesso di armi nucleari si orienteranno verso il disarmo. I Paesi senza armi nucleari non le acquisiranno, e tutti i Paesi potranno avere accesso all'energia nucleare a scopi pacifici".
Oggi l’amministrazione americana ha un chiaro interesse a riaprire il dialogo con la Russia in merito al rinnovo o alla sostituzione degli accordi Start (Strategic Arms Reduction Treaty) e a fare ulteriori passi avanti in materia di controllo degli armamenti e disarmo.
Quest’anno si terrà la Conferenza di Revisione del Trattato di Non Proliferazione e le aspettative sono molto alte. Dalla Conferenza potrà uscire un chiaro messaggio sul rispetto rigoroso delle tre parti essenziali del trattato; il disarmo non deve essere disgiunto dagli sforzi in
direzione della non proliferazione; l’assistenza allo sviluppo di energia nucleare deve essere fornita evitando restrizioni discrezionali o discriminazioni, ma piuttosto all’interno di un quadro di riferimento per il controllo effettivo delle attività nucleari; se così non fosse l’intero regime di non proliferazione rischierà di essere messo a repentaglio. L’intera comunità internazionale e in particolare gli stati più potenti (come quelli appartenenti al G8) dovrebbero impegnarsi per preservare l’essenza del Trattato di Non Proliferazione e renderlo più efficace, secondo le linee evidenziate dal presidente Obama nel suo discorso a Praga.

12 novembre 2009

Sesto anniversario di Nassirya

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione del sesto anniversario della strage di Nassirya e delle commemorazioni organizzate per ricordare i caduti italiani nelle missioni internazionali, ha inviato al ministro della Difesa, Ignazio La Russa, un messaggio in cui esprime il "personale e deferente omaggio alla memoria di tutti coloro che, con esemplare spirito di abnegazione, hanno perso la vita assolvendo il proprio compito nelle missioni internazionali per la sicurezza e la stabilizzazione delle aree di crisi". Il sacrificio di tanti italiani impegnati nella costruzione della pace "rafforza - scrive il capo dello Stato - la determinazione ad opporsi ad ogni forma di sopraffazione e di violenza e la consapevolezza di come soltanto attraverso il dialogo, la tolleranza e la giustizia sia possibile comporre i contrasti tra i popoli e perseguire la cooperazione e l'ordinato sviluppo sociale ed economico".

6 maggio 2009

Il 24 maggio 1915

94 anni fa «Il Piave mormorava/, calmo e placido, al passaggio/ dei primi fanti il 24 maggio». L’Italia entrava in guerra divisa tra interventisti e neutralisti, dieci mesi dopo l'inizio delle ostilità in Europa. La dichiarazione di guerra era stata presentata contro gli Imperi centrali, in particolare contro l’Austria, dopo un disinvolto cambio di alleanze che aveva visto l’Italia passare dalla Triplice Intesa alla Triplice Alleanza (Italia, Francia ed Inghilterra).
L’assalto iniziò di lunedì alle 3 e 30. Le truppe italiane oltrepassarono il confine italo-austriaco, puntando verso le «terre irredente» del Trentino, del Friuli, della Venezia Giulia, precedute da forti interventi di artiglieria sulle posizioni avversarie.
La prima cittadina a ritornare italiana nello stesso 24 maggio 1915 fu Cervignano del Friuli.
I combattimenti sulle sponde del Piave e dell'Isonzo, nelle trincee del Carso e della Bainsizza, sull’altipiano di Asiago e sul Passo Buole, nella disfatta di Caporetto e nell’ultima battaglia di Vittorio Veneto causarono più di 700 mila morti.
L’attraversamento del Piave, il 24 maggio 1915, da parte delle fanterie fu il momento cruciale dell’avvio della guerra.
Al termine del conflitto, un poeta e musicista napoletano, Giovanni Gaeta, più noto con lo pseudonimo di E. A. Mario, trasformò quel momento nella «Leggenda del Piave», una canzone destinata a entrare nella memoria collettiva degli italiani, sino ad ipotizzarne l’uso come inno nazionale.
A conclusione della grande guerra, la Conferenza di pace di Parigi (1919), dominata dal presidente americano Woodrow Wilson, deluse le aspettative degli interventisti. L'Italia ottenne Trento, Trieste e l'Istria, più l'Alto Adige etnicamente tedesco; ma non Fiume e la Dalmazia. Si parlò pertanto di vittoria “mutilata” che mosse D'Annunzio e i suoi legionari ad occupare Fiume e a dar vita all'effimera «Reggenza del Carnaro».
Nonostante la vittoria il Paese uscì dalla guerra prostrato, lacerato da una profonda crisi politica, sociale ed economica. Fu l'ultimo atto dell'epopea Risorgimentale.

3 novembre 2008

IL MITO DEL MILITE IGNOTO

Nei primi anni seguenti la prima guerra mondiale tutto il Paese si adoperò per raccogliere e dare adeguata sepoltura ai soldati deceduti.
Ad avvenuta smobilitazione, su 5,5 milioni di combattenti si contavano 670.000 caduti, 600.000 dispersi ed un milione di feriti. Ogni famiglia in pratica piangeva qualcuno che non era tornato. Molti caduti erano ancora sepolti in cimiteri di guerra, sparsi lungo il fronte, sugli undici campi di battaglia o all’estero. Molti di loro erano senza nome, la pietà di commilitoni e cappellani militari li aveva sepolti in anfratti e tombe di circostanza.
La direzione generale per le onoranze ai caduti, per rispondere alle istanze sempre più pressanti dei familiari, proponeva al Governo di raccogliere le spoglie dei caduti nei principali cimiteri e creare dei nuovi monumenti ove sistemare i poveri resti di questi soldati. Nell’impossibilità di riconoscere i senza nome, definiti dispersi, prendeva corpo l’idea di creare un monumento nazionale unico al milite ignoto. Sui principali campi di battaglia, nacquero i sacrari e gli ossari. Il principale è il Sacrario di Redipuglia, altri sorsero a Cortina, Rovereto, sul Pasubio, sul Monte Grappa ecc.. Nel monumento eretto in piazza Venezia a Roma, in onore di Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, venne sepolto il milite ignoto.
Le procedure di scelta del milite sconosciuto furono lunghe, meticolose ed assolutamente riservate, perché doveva trattarsi di un soldato privo di qualsiasi riconoscimento. Una commissione appositamente nominata dal Governo, scelse undici soldati tratti dagli undici campi di battaglia. Le bare vennero portate ciascuna con i massimi onori nel duomo di Aquilea in Friuli, per le esequie di Stato, prima di essere tumulate nel sacrario di Cargnacco. Lì avvenne la scelta, da parte di una madre di un disperso, della bara da trasferire a Roma nel monumento nazionale. Questo da allora fu denominato l’altare della patria.
Il viaggio da Aquilea a Roma avvenne in treno, a velocità moderata, con soste in tutte le stazioni per consentire a tutti i cittadini, ai sindaci ed agli abitanti anche dei paesi più piccoli di onorare il passaggio del feretro. Questi ricevette a Roma, il 4 novembre 1921, i massimi onori di Stato; dapprima con una funzione religiosa presso la chiesa degli Angeli e quindi presso l’altare della patria, ove erano presenti il re, tutto il suo seguito, tutti i componenti delle camere, tutte le bandiere di guerra delle forze armate, tutti gli ex combattenti decorati, le mamme dei dispersi ed una folla di gente comune che mai si era adunata prima. Fu una presenza corale degli italiani che manifestarono i loro sentimenti di attaccamento a quel simbolo che rappresentava e rappresenta tutti i caduti senza nome sui campi di battaglia in Italia ed all’estero. L’Italia ritrovò attorno a quel milite sconosciuto il sentimento di appartenenza nazionale.
Da quel 4 novembre, ogni anno, attorno ai monumenti che sorsero in tutte le città e nei paesini più lontani per precise direttive del Governo di allora, si onorano i caduti nell’adempimento del dovere per la patria. Molti sono senza nome . A Redipuglia sul cippo centrale c’è scritto: Non importa se non conosci il mio nome, grida al vento, fante d’Italia e dormirò contento.

13 maggio 2008

Forze Armate impiegate contro la criminalità organizzata

Ritorna nel nostro Paese il convincimento che per battere la criminalità organizzata debba essere impiegato personale delle forze armate ed in particolare dell’Esercito. Si tratta di un’esperienza conclusa da dieci anni in Sicilia, con i Vespri siciliani ed in altri parti d’Italia, in Calabria (Riace), Campania (Partenope), Sardegna (Forza Paris), sulla frontiera nord orientale (Testuggine) ed in Puglia (Salento). Attualmente è in corso l’operazione “Domino”, avviata dall’ottobre 2001, a protezione dei punti sensibili contro il terrorismo internazionale.
Da una prima valutazione occorre osservare che le diverse operazioni sono servite più ad assicurare i cittadini che a debellare le diverse organizzazioni criminali, tanto che ora si riapre il problema. L’Esercito, tuttavia, anche in quelle missioni ha svolto i suoi compiti con impegno ed attaccamento alle istituzioni pur non essendo preparato a svolgere compiti tipici di polizia. E’ da rilevare anche che da quelle esperienze operative i quadri hanno tratto ammaestramenti per affrontare le situazioni di crisi sui teatri internazionali, primo fra tutti in quello balcanico, a partire dalla seconda metà degli anni novanta.
E’ innegabile che la situazione organica, la struttura, l’addestramento delle unità è ora cambiata rispetto a quella degli anni citati. Allora l’Esercito disponeva di pochi reparti di professionisti e la maggior parte delle unità erano di leva, cioè con un addestramento di base idoneo a svolgere compiti di controllo e rastrellamento, non di combattimento. Attualmente le unità, fortemente ridotte in numero, sono formate da volontari, addestrati per operazioni di difesa e combattimento anche in situazioni di elevata intensità operativa.
Pertanto l’eventuale impiego in concorso alle forze di polizia sarebbe più efficace del passato ai fini operativi, ma comporterebbe una riduzione di impegni all’estero, già sottoscritti in ambito internazionale, per una minore disponibilità di soldati da impiegare nella nuova esigenza. Poi dal punto di vista operativo e delle risorse occorre valutare se appare più conveniente attribuire ai soldati compiti diversi da quelli per i quali sono stati addestrati professionalmente oppure reclutare più agenti delle forze dell’ordine specificamente preposte alla lotta contro la criminalità. In effetti, negli ultimi anni si è privilegiato l’arruolamento delle forze di polizia, a fronte di una forte riduzione dei volontari dell’Esercito per motivi di budget.
In questo quadro la decisione di impiegare le Forze Armate in compiti di concorso alle forze di polizia, tenendo conto di quanto avviato nel passato, comporterebbe la necessità di ridurre le missioni all’estero per le Forze Armate ed assegnare loro adeguate risorse finanziarie, ma appare comunque necessario coordinare meglio l’impiego delle cinque forze di polizia, nei diversi compiti, per conseguire risultati più efficaci nel campo di loro specifico intervento.

5 febbraio 2008

ESERCITO E RIFIUTI

Il problema dei rifiuti in Campania ha spinto recentemente il Governo ad impiegare alcuni reparti specializzati del Genio per smuovere le migliaia di tonnellate di rifiuti abbandonate nelle vie di Napoli. Il provvedimento è stato attuato per far fronte all’emergenza, dichiaratamente in modo risolutivo, considerato che tutti i tentativi esperiti in precedenza avevano dato scarsi risultati.
L’intervento ha suscitato più di una critica, anche nella considerazione che tra tanti compiti, l’impiego dei soldati professionisti per sgomberare dei rifiuti urbani appare quanto mai anomalo se non addirittura mortificante.
Nel corso della sua storia l’Esercito ha visto spesso cambiare i suoi compiti, essenzialmente connessi alla funzione di difesa del territorio nazionale, per comprendere funzioni istituzionalmente riservate ad altre forze, siano esse di polizia, dei vigili del fuoco o di altro personale. Il legislatore, nel 1978, ha cercato di semplificare l’adozione di compiti atipici per le forze Armate inserendo nella legge “sui principi della disciplina”, oltre ai compiti di difesa del territorio nazionale , quelli riguardanti la salvaguardia delle libere istituzioni ed il soccorso alle popolazioni colpite da calamità. Sulla base di queste norme le Unità dell’Esercito sono state impiegate legittimamente durante i terremoti, per concorrere allo spegnimento di incendi, soccorrere le popolazioni colpite da alluvioni, frane, ecc… Allora, queste operazioni venivano svolte con l’impiego dei giovani di leva, i quali dotati di un badile o piccone potevano essere d’aiuto in situazioni di emergenza, più come braccia da lavoro, che per esperienza tecnica sul campo.
Con la fine dell’esercito di leva (2004), si è passati ad uno strumento formato da professionisti, più snello, con minori unità, equipaggiato ed addestrato per le missioni operative che, per salvaguardare gli interessi nazionali, si svolgono sempre più spesso all’estero. In rare occasioni l’Esercito dopo la fine della leva è stato chiamato in patria all’assolvimento di compiti generici di concorso, sia per la sua alta specializzazione sia per la necessità di personale professionista negli impegni “fuori area”.
Ai soldati volontari sono ora riservati compiti strettamente operativi. Essi sono svincolati anche dagli impieghi logistici all’interno delle caserme.
Appare quindi molto singolare che le unità più preziose, per equipaggiamento tecnico, limitato numero e addestramento (Genio) siano state impiegate nella soluzione del problema dei rifiuti in Campania, ove si trovano tante braccia bisognevoli di lavoro . Appare comunque evidente che l’emergenza rifiuti non deriva da una calamità naturale, ma dall’incuria e, a dire poco, dalla negligenza dei responsabili locali. L’utilizzo di questi reparti ovviamente è servito a calmare gli animi e a far vedere il pronto interesse delle istituzioni. Ma essi, pur con la massima buona volontà, non potranno sopperire ad anni di incuria e di mala gestione. L’usura dei mezzi andrà a gravare altresì sulla funzione operativa dei reparti interessati , a corto di ricambi e fondi.
Infine, è innegabile che la considerazione attribuita all’Esercito in questa circostanza è quella di una organizzazione di basso profilo, senza arte né parte. Gli stessi cittadini, vedendo operare fior di professionisti tra i rifiuti, probabilmente senza risultati risolutivi, non possono che pensare: quanto è caduto in basso questo Esercito.
Di fatto mentre sui teatri operativi all’estero i nostri soldati sono stimati e valutati positivamente nell’ambito dei contingenti internazionali, in casa nostra non trovano, da parte delle Istituzioni, l’attenzione ed il sostegno che meritano
.

30 dicembre 2007

Esercito europeo senza attributi

Si parla da qualche anno della creazione dell’Esercito d’Europa, ma la forte connotazione nazionale degli Eserciti europei ha impedito sinora la realizzazione pratica di una tale compagine, ancorché siano stati fatti degli esperimenti positivi in Macedonia e Bosnia Erzegovina.
Recentemente si è parlato della creazione del primo nucleo rappresentativo dell’Esercito d’Europa, mediante la formazione del "Nordic battle group", una battaglione formato da forze armate di Svezia, Norvegia, Finlandia, Estonia su mandato dell'Unione Europea.
Con difficoltà è stato creato un appropriato simbolo araldico: un leone rampante bianco in campo azzurro che porta una spada con una zampa e un ramoscello d'ulivo nell'altra. Ciò per mettere d’accordo le sensibilità dei diversi Paesi, alcuni più propensi al dialogo ed alla pace.
Ma molto singolare appare la realizzazione grafica del simbolo. La povera bestia, che normalmente in araldica viene rappresentata con i suoi attributi, in questo caso è stata evirata per la protesta di alcune soldatesse svedesi.
Il commento più evidente sui blog, in particolare quelli americani, è stato abbastanza in linea con le valutazioni dei cittadini europei: il simbolo dell'esercito europeo non poteva che nascere senza attributi.

(Notizia tratta da” l’Occidentale” del17 Dicembre 2007)

4 novembre 2007

4 Novembre: Festa delle forze armate e dell’Unità d’Italia

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, celebrando al Quirinale la Giornata dell'Unita' d'Italia e la Festa delle Forze armate, tra l’altro ha richiesto '' un nuovo sforzo di coesione nazionale e un concreto impegno per garantire la pace anche al di fuori dei confini della stessa Europa e contribuire alla costruzione di un nuovo ordine mondiale”. ''E' nostro dovere prepararsi a fronteggiare ognuna delle nuove possibili emergenze '' che possono presentarsi nel panorama internazionale. ''A nessuno possono sfuggire - ha aggiunto - le preoccupazioni che nascono dall'aggravarsi della situazione in Afghanistan, dall'incombere di gravi incognite nella regione che abbraccia l'Iraq e l'Iran, dal riaccendersi di acute contrapposizioni nei vicini Balcani, dal persistere di tensioni nel quadro politico e istituzionale libanese, dal trascinarsi di una crisi lacerante nel Medio Oriente ''. Il Capo dello Stato ha richiamato '' il dovere comune di tutti coloro che hanno vivo il senso della responsabilita' e del prestigio dell'Italia a dare prova di unita' nel vigilare e nel ricercare le strade che meglio possono garantire la sicurezza e condurre alla pace ''. L'Italia deve fare la sua parte, deve contribuire a ''garantire la sicurezza internazionale, prevenire e superare crisi e conflitti in aree vicine e lontane ''. Questa e' ''una responsabilita' a cui non possiamo sottrarci e che come italiani e come europei non possiamo delegare ad altri ''.

26 ottobre 2007

Restrizioni economiche USA verso i Pasdaram(Iran)

Il 25 ottobre scorso, gli Stati Uniti hanno annunciato una serie di sanzioni contro i Guardiani della rivoluzione iraniana (Pasdaran) e la loro forza d’élite, al-Qods, accusando Teheran di aiutare i terroristi in Iraq ed in altre parti del mondo, di esportare missili e di procedere nella fabbricazione di armi nucleari.
Le sanzioni annunciate ieri dal segretario di Stato Condoleeza Rice e dal ministro del Tesoro Henry Paulson sono, senza precedenti e rivolte alla struttura militare dell’Iran. Esse sono le più dure adottate dagli Usa dopo la presa degli ostaggi all’ambasciata americana a Teheran, nel 1979. Le sanzioni prendono di mira oltre 20 istituzioni e individui comprese tre banche iraniane (Bank Melli, Bank Mellat e Bank Saderat), congelando tutti i beni negli Usa e mettendo al bando ogni transazione commerciale con i soggetti inclusi nella lista dei “terroristi globali”.
La Rice ha accusato ieri l’Iran di comportarsi in modo “irresponsabile”, perseguendo una politica “di comportamenti minacciosi”. Il segretario di Stato non ha chiuso la porta alla diplomazia sottolineando che gli Stati Uniti continuano a restare aperti ad una “soluzione diplomatica”. Ha evidenziato anche che «purtroppo il governo iraniano continua a rifiutare l’offerta degli USA per negoziati aperti, preferendo invece minacciare la pace e la sicurezza realizzando tecnologia nucleare che può portare alla produzione di armi, creare pericolosi missili balistici, sostenere i militanti sciiti e i terroristi in Iraq, Afghanistan, Libano e nei territori palestinesi, minacciando di distruggere Israele. Il ministro del Tesoro Paulson ha spiegato, prendendo la parola subito dopo la Rice, che l’Iran trasferisce ogni anno, attraverso il sistema bancario, diversi milioni di dollari per aiutare i gruppi terroristi. «È sempre più probabile che coloro che hanno rapporti d’affari con l’Iran li abbiano, inevitabilmente, anche con la Guardia Rivoluzionaria», ha affermato Paulson.

17 settembre 2007

Darfur: nuova missione di peacekeeping per l’Italia.

Il 31 luglio scorso il Consiglio di sicurezza ha votato la risoluzione n.1769 per il dispiegamento di una missione multinazionale ONU-UA, di 26 mila soldati, nel Sudan e Ciad a protezione dei profughi del Darfur. Nella regione Centroafricana è presente un elevato numero di profughi, stimati dall'Alto commissariato ONU per i rifugiati (Unhcr) in circa 50 mila. Inoltre, dal 2003 sono stati uccise più di 200 mila persone nel Darfur, soprattutto civili. Il fenomeno ha inevitabilmente accresciuto la fuga dalla regione occidentale sudanese.
Dopo lunghe trattative, la risoluzione dell’ONU prevede, entro ottobre, lo spiegamento di oltre 26mila uomini della forza di pace. La missione, autorizzata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, si chiamerà Unamid. Non sarà solo l’ONU a gestirla: si tratterà, infatti, di un “ibrido” in cui entreranno a far parte anche i circa 7mila uomini dell’Unione Africana (UA), già impegnati nella regione. Il coinvolgimento dell’Unione Africana era del resto un passaggio obbligato per far accettare la missione a Khartoum. La forza ONU-UA sarà così composta: circa 19.500 militari, 360 osservatori, oltre 6.400 agenti di polizia, più di 3.700 civili. Essa rappresenta la più grande missione ONU finora attuata.
Dal 27 ottobre, inoltre, sotto il patrocinio delle Nazioni Unite, inizieranno a Tripoli, in Libia, i negoziati tra il governo di Khartoum ed i gruppi ribelli che non hanno mai sottoscritto i precedenti accordi.
Anche l'Italia, ha annunciato Prodi, intende fare la sua parte nella missione ONU che dovrebbe decollare nei prossimi mesi, mettendo a disposizione "mezzi di trasporto e strutture logistiche". Palazzo Chigi, ha infatti spiegato il presidente del Consiglio, sta discutendo con la Difesa di un possibile invio di "mezzi aerei e del personale necessario per farli funzionare". Un ulteriore impegno non era previsto per le Forze Armate italiane, ma i recenti sviluppi e le pressioni delle Nazioni Unite e del segretario generale Ban-Ki Moon, hanno evidentemente indotto l'Italia a prendere in considerazione la possibilità di un impegno diretto.