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13 febbraio 2013

Il programma F35


L’esigenza primaria della difesa aerea italiana è di sostituire i velivoli AV-8B Harrier della Marina e gli AMX e i Tornado dell’Aeronautica, a partire dalla metà del prossimo decennio con un aereo multiruolo di ultima generazione. 
Nel 1994 l’allora Ministro della Difesa Beniamino Andreatta avviò la fase esplorativa per la partecipazione italiana al programma “JSF”, nell’ottica di un’adesione ad un progetto multinazionale che dal punto di vista tecnologico operasse su livelli di eccellenza, promuovesse l’interoperabilità tra forze aeree dei Paesi NATO e si preoccupasse del contenimento dei costi. Ad oggi si è conclusa la fase della sperimentazione e dello sviluppo alla quale hanno partecipato complessivamente, oltre agli Stati Uniti, altri otto Paesi: Regno Unito (unico partner di Primo Livello), Italia ed Olanda (partner di Secondo Livello), Australia, Canada, Danimarca, Norvegia e Turchia (partner di Terzo Livello). 
Il Joint Strike Fighter (JSF) F 35 è un velivolo multi-ruolo con uno spiccato orientamento per l’attacco aria-suolo, a bassa osservabilità radar (stealth ) e quindi ad elevata sopravvivenza, in grado di utilizzare un’ampia gamma di armamento e capace di operare da piste semi-preparate o deteriorate, pensato e progettato per quei contesti operativi che caratterizzano le moderne operazioni militari e le missioni internazionali di peacekeeping. 
In particolare, può soddisfare un ampio spettro di missioni, a conferma della notevole versatilità della macchina, assolvendo compiti di operazioni di proiezione in profondità del “potere aereo”, di soppressione dei sistemi d’arma missilistici avversari e di concorso al conseguimento della superiorità aerea. 
Inoltre può offrire un ottimo supporto ravvicinato alle forze di superficie e svolgere una determinante azione di raccolta, elaborazione e distribuzione in rete di dati e immagini, grazie ai sofisticatissimi sensori di cui è dotato. Questa importante e peculiare capacità permetterà, in maniera assolutamente innovativa e a fronte della propria eccellenza sensoriale, di poter concorrere anche a missioni di supporto alla Protezione Civile e ad altri Enti e Agenzie di natura civile. 
Inoltre, il progetto prevede anche importanti opportunità e ricadute sull’industria italiana, in termini di partecipazione industriale al lavoro e di trasferimento di tecnologie. 
Infatti, oltre all’acquisizione di un velivolo da combattimento di quinta generazione che progressivamente sostituirà altri più vetusti e obsoleti, ricopre un’importanza strategica la realizzazione sul territorio italiano, presso la base dell’Aeronautica Militare di Cameri, di una linea di assemblaggio finale, manutenzione e aggiornamento, l’unica al di fuori degli Stati Uniti, denominata FACO/MRO&U (Final Assembly and Check Out/Maintenance, Repair, Overhaul & Upgrade).

8 febbraio 2012

Nikolajewska e gli alleati

Nikolajewka fu una grande vittoria, la vittoria della disperazione. La battaglia venne combattuta e vinta dalla "Tridentina", ma anche la "Cuneense", la "Julia" e la "Vicenza" contribuirono con il loro sacrificio alla salvezza del grosso del Corpo d'Armata Alpino. Pur operando in posizioni di fiancheggiamento e di retroguardia, queste tre unità impegnarono ingenti forze sovietiche alleggerendo in questo modo la pressione sulla divisione di Reverberi. Il 27 gennaio, i resti della "Cuneense", ormai all'estremo limite della resistenza umana, furono circondati e catturati a Valuiki.
I superstiti del Corpo d'Armata Alpino, tornati in Italia, raccontarono la loro esperienza. Parlavano con entusiasmo della popolazione ucraina e con odio degli "alleati" tedeschi. Di seguito alcuni commenti da una relazione dell'Ufficio storico dello Stato Maggiore dell'Esercito Italiano:
"La popolazione ucraina - per pietà, simpatia o per ordine ricevuto dalle autorità russe - fu sollecita nell'alleviare sofferenze, offrì da mangiare, vestire e possibilità di riposo ai soldati dell'Armir".
E i tedeschi? Dice la stessa relazione: "Dalle isbe, a mano armata, venivano cacciati i nostri soldati per far posto a quelli tedeschi; nostri autieri, a mano armata, venivano obbligati a cedere l'automezzo; dai nostri autocarri venivano fatti discendere nostri soldati, anche feriti, per far posto a soldati tedeschi; dai tren carichi di nostri feriti venivano sganciate le locomotive per essere agganciate a convogli tedeschi; feriti e congelati italiani venivano caricati sui pianali dove alcuni per il freddo morivano durante il tragitto, mentre nelle vetture coperte prendevano posto militari tedeschi, non feriti, che, avioriforniti, mangiavano e fumavano allegramente quando i nostri soldati erano digiuni da parecchi giorni. Durante il ripiegamento, i tedeschi, su autocarri o su treni, schernivano, deridevano e dispregiavano i nostri soldati che si trascinavano a piedi nelle misere condizioni che abbiamo descritte; e quando qualcuno tentava di salire sugli autocarri o sui treni, spesso semivuoti, veniva inesorabilmente colpito col calcio del fucile e costretto a rimanere a terra".

1 febbraio 2012

Le spese del bilancio della difesa

Per poter procedere alla elaborazione tecnico-finanziaria del bilancio della difesa, le spese vengono articolate in spese vincolate "a leggi" e vincolate "a programmi".
Le spese vincolate "a leggi" sono quelle che rivestono carattere di obbligatorietà in quanto sono determinate, anche nella loro entità, da disposizioni di legge e/o da deliberazioni di natura governativa. Tali oneri sono soggetti ad automatismi che li rendono particolarmente rigidi proprio perché legati a leggi e/o accordi interministeriali o internazionali. Esse possono includere anche esigenze particolari orientate a servizi di pubblica utilità quali, ad esempio, il rifornimento idrico delle isole minori, l'attività a favore dell'Aviazione civile, il trasporto aereo civile di Stato e per il soccorso di malati e traumatizzati gravi. Le spese vincolate "a programmi" sono quelle destinate ad assicurare la funzionalità, l'efficienza e l'efficacia dello strumento militare e discendono dalle scelte programmatiche individuate dagli Stati Maggiori, dal Segretariato Generale della Difesa e dal Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri (denominati Organi Programmatori di Vertice di Forza Armata ed Interforze - O.P.) ed approvate dal Capo di Stato Maggiore della Difesa.
Successivamente, per la formazione del bilancio, le spese vengono articolate in tre distinti "settori":
- personale, relative agli oneri da sostenere per gli stipendi e le indennità del personale militare in servizio permanente, del personale civile con rapporto di impiego continuativo, per il trattamento economico del personale di leva nonchè per il trattamento provvisorio di quiescenza del personale militare;
- esercizio, relative agli oneri necessari per garantire la funzionalità e l'efficienza dello strumento militare (spese per la formazione e l'addestramento, per la manutenzione e supporto dei mezzi, materiali e infrastrutture, per il funzionamento dei Comandi/Enti/Reparti);
- investimento, relative agli oneri necessari al miglioramento dell'efficacia dello strumento militare (spese per l'ammodernamento ed il rinnovamento dei mezzi operativi, di supporto tecnico-logistico e delle infrastrutture e per la ricerca e sviluppo).
I primi due settori (personale ed esercizio) determinano gli oneri relativi al "funzionamento" delle Forze Armate, mentre l'ultimo attiene all'acquisizione di beni durevoli, che a loro volta producono sicurezza e progresso tecnologico.

3 gennaio 2012

Fine in Iraq della NATO training mission

Nel dicembre scorso, con la fine della missione statunitense in Iraq, si è conclusa anche la NATO TRAINING MISSION .
Il Generale Armentani, nel consegnare il vessillo nazionale al Dott. Di Porcia, si è così espresso: "Per più di sette anni, militari italiani di tutte le Forze Armate si sono avvicendati in questa missione della NATO insieme a colleghi di svariate nazioni dando invariabilmente prova di grande professionalità ed esemplare dedizione".
Detta missione avviata su richiesta del Governo iracheno, ha assistito le Forze di Sicurezza irachene fornendo addestramento, consulenza e mentoraggio.
I risultati ottenuti sono di pieno successo.Le cifre contribuiscono a confermarlo: circa 11.000 i poliziotti addestrati dai nostri Carabinieri; approssimativamente 4.000 gli Ufficiali qualificati presso vari Istituti militari di formazione (Scuola di Guerra, Accademia Militare e Istituti Superiori di Stato Maggiore); 360 i Sottufficiali che hanno superato il corso di categoria. Inoltre, sono stati organizzati numerosi corsi di specializzazione al fine di creare una capacità autonoma degli Iracheni in termini di pianificazione e condotta addestrativa. Ora le Forze di Sicurezza irachene sono in condizione di operare con autosufficienza e competenza.

28 febbraio 2011

Afghanistan crescente rischio di attacchi

In un nuovo attacco contro i soldati italiani in Afghanistan è caduto il Ten. Massimo Ranzani, del 5° Rgt. Alp. di Vipiteno. Altri quattro militari sono rimasti feriti.
Recentemente nella relazione consegnata al Parlamento da parte dei Servizi d’Intelligence era stato riportato che nell'ovest dell'Afghanistan la situazione era particolarmente a rischio. L’avvicinarsi della fine dell’inverno e la costante pressione delle Forze ISAF verso quelle regioni aveva spinto l'Aise - l'Agenzia per la sicurezza esterna - a diffondere negli ultimi mesi diversi warning che hanno determinato un innalzamento delle misure di sicurezza poste a protezione dei militari italiani. Esse hanno consentito di sventare numerosi attentati, ma non sono riuscite del tutto a neutralizzare la minaccia degli Ied, gli ordigni esplosivi artigianali su cui oggi è saltato il Lince a Shindand. È per questo che nelle note informative e nelle relazioni ufficiali gli uomini dell'intelligence continuano a ripetere che proprio le bombe artigianali e le imboscate lungo le strade interessate dal transito dei mezzi della coalizione, restano le tecniche «privilegiate» dalla guerriglia, così come il lancio di razzi verso le basi avanzate di ISAF. Nè si può escludere che nei prossimi mesi, gli insorti, alla ricerca di visibilità, possano «condurre azioni che contemplino l'utilizzo contemporaneo di attentatori suicidi e gruppi di fuoco».
Nell'analisi inviata al Parlamento i servizi ribadivano dunque che l'Afghanistan è tutt'altro che pacificato: un paese, anzi, con un «quadro istituzionale destinato a permanere instabile per le lacerazioni interne e per la difficoltà di reinserire la componente moderata dei talebani nella vita politica del Paese». E per questo che nel «breve-medio termine il personale straniero, militare e civile, sarà notevolmente esposto al rischio di azioni ostili». Un rischio che per i nostri militari è rappresentato soprattutto dal «riposizionamento in area di miliziani» provenienti dalla province meridionali dell'Afghanistan dove le operazioni di «contro-insorgenza», avviate nel 2010 dalle forze di sicurezza dei reparti afghani assieme all'ISAF, sono state particolarmente intense.

16 gennaio 2010

Aspettative sul disarmo e la non proliferazione nucleare.

A partire dal 2008 e grazie al clima inaugurato dalla nuova amministrazione americana, è emerso un nuovo atteggiamento nei confronti del disarmo e della non proliferazione. Nel gennaio dello stesso anno un gruppo di quattro noti ex funzionari americani ha pubblicato un influente articolo sul Wall Street Journal , articolo che ha successivamente ispirato diversi gruppi politici in alcuni paesi europei. Il messaggio generale ha invitato a un rilancio del disarmo nucleare.
Il Presidente Barack Obama ha affermato: “Dichiaro in modo chiaro e convinto l’impegno dell’America per la ricerca della pace e della sicurezza in un mondo senza armi nucleari” ed ha anche ribadito chiaramente gli obiettivi del trattato di non proliferazione ( Npt): “I Paesi in possesso di armi nucleari si orienteranno verso il disarmo. I Paesi senza armi nucleari non le acquisiranno, e tutti i Paesi potranno avere accesso all'energia nucleare a scopi pacifici".
Oggi l’amministrazione americana ha un chiaro interesse a riaprire il dialogo con la Russia in merito al rinnovo o alla sostituzione degli accordi Start (Strategic Arms Reduction Treaty) e a fare ulteriori passi avanti in materia di controllo degli armamenti e disarmo.
Quest’anno si terrà la Conferenza di Revisione del Trattato di Non Proliferazione e le aspettative sono molto alte. Dalla Conferenza potrà uscire un chiaro messaggio sul rispetto rigoroso delle tre parti essenziali del trattato; il disarmo non deve essere disgiunto dagli sforzi in
direzione della non proliferazione; l’assistenza allo sviluppo di energia nucleare deve essere fornita evitando restrizioni discrezionali o discriminazioni, ma piuttosto all’interno di un quadro di riferimento per il controllo effettivo delle attività nucleari; se così non fosse l’intero regime di non proliferazione rischierà di essere messo a repentaglio. L’intera comunità internazionale e in particolare gli stati più potenti (come quelli appartenenti al G8) dovrebbero impegnarsi per preservare l’essenza del Trattato di Non Proliferazione e renderlo più efficace, secondo le linee evidenziate dal presidente Obama nel suo discorso a Praga.

12 novembre 2009

Sesto anniversario di Nassirya

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione del sesto anniversario della strage di Nassirya e delle commemorazioni organizzate per ricordare i caduti italiani nelle missioni internazionali, ha inviato al ministro della Difesa, Ignazio La Russa, un messaggio in cui esprime il "personale e deferente omaggio alla memoria di tutti coloro che, con esemplare spirito di abnegazione, hanno perso la vita assolvendo il proprio compito nelle missioni internazionali per la sicurezza e la stabilizzazione delle aree di crisi". Il sacrificio di tanti italiani impegnati nella costruzione della pace "rafforza - scrive il capo dello Stato - la determinazione ad opporsi ad ogni forma di sopraffazione e di violenza e la consapevolezza di come soltanto attraverso il dialogo, la tolleranza e la giustizia sia possibile comporre i contrasti tra i popoli e perseguire la cooperazione e l'ordinato sviluppo sociale ed economico".

6 maggio 2009

Il 24 maggio 1915

94 anni fa «Il Piave mormorava/, calmo e placido, al passaggio/ dei primi fanti il 24 maggio». L’Italia entrava in guerra divisa tra interventisti e neutralisti, dieci mesi dopo l'inizio delle ostilità in Europa. La dichiarazione di guerra era stata presentata contro gli Imperi centrali, in particolare contro l’Austria, dopo un disinvolto cambio di alleanze che aveva visto l’Italia passare dalla Triplice Intesa alla Triplice Alleanza (Italia, Francia ed Inghilterra).
L’assalto iniziò di lunedì alle 3 e 30. Le truppe italiane oltrepassarono il confine italo-austriaco, puntando verso le «terre irredente» del Trentino, del Friuli, della Venezia Giulia, precedute da forti interventi di artiglieria sulle posizioni avversarie.
La prima cittadina a ritornare italiana nello stesso 24 maggio 1915 fu Cervignano del Friuli.
I combattimenti sulle sponde del Piave e dell'Isonzo, nelle trincee del Carso e della Bainsizza, sull’altipiano di Asiago e sul Passo Buole, nella disfatta di Caporetto e nell’ultima battaglia di Vittorio Veneto causarono più di 700 mila morti.
L’attraversamento del Piave, il 24 maggio 1915, da parte delle fanterie fu il momento cruciale dell’avvio della guerra.
Al termine del conflitto, un poeta e musicista napoletano, Giovanni Gaeta, più noto con lo pseudonimo di E. A. Mario, trasformò quel momento nella «Leggenda del Piave», una canzone destinata a entrare nella memoria collettiva degli italiani, sino ad ipotizzarne l’uso come inno nazionale.
A conclusione della grande guerra, la Conferenza di pace di Parigi (1919), dominata dal presidente americano Woodrow Wilson, deluse le aspettative degli interventisti. L'Italia ottenne Trento, Trieste e l'Istria, più l'Alto Adige etnicamente tedesco; ma non Fiume e la Dalmazia. Si parlò pertanto di vittoria “mutilata” che mosse D'Annunzio e i suoi legionari ad occupare Fiume e a dar vita all'effimera «Reggenza del Carnaro».
Nonostante la vittoria il Paese uscì dalla guerra prostrato, lacerato da una profonda crisi politica, sociale ed economica. Fu l'ultimo atto dell'epopea Risorgimentale.

3 novembre 2008

IL MITO DEL MILITE IGNOTO

Nei primi anni seguenti la prima guerra mondiale tutto il Paese si adoperò per raccogliere e dare adeguata sepoltura ai soldati deceduti.
Ad avvenuta smobilitazione, su 5,5 milioni di combattenti si contavano 670.000 caduti, 600.000 dispersi ed un milione di feriti. Ogni famiglia in pratica piangeva qualcuno che non era tornato. Molti caduti erano ancora sepolti in cimiteri di guerra, sparsi lungo il fronte, sugli undici campi di battaglia o all’estero. Molti di loro erano senza nome, la pietà di commilitoni e cappellani militari li aveva sepolti in anfratti e tombe di circostanza.
La direzione generale per le onoranze ai caduti, per rispondere alle istanze sempre più pressanti dei familiari, proponeva al Governo di raccogliere le spoglie dei caduti nei principali cimiteri e creare dei nuovi monumenti ove sistemare i poveri resti di questi soldati. Nell’impossibilità di riconoscere i senza nome, definiti dispersi, prendeva corpo l’idea di creare un monumento nazionale unico al milite ignoto. Sui principali campi di battaglia, nacquero i sacrari e gli ossari. Il principale è il Sacrario di Redipuglia, altri sorsero a Cortina, Rovereto, sul Pasubio, sul Monte Grappa ecc.. Nel monumento eretto in piazza Venezia a Roma, in onore di Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, venne sepolto il milite ignoto.
Le procedure di scelta del milite sconosciuto furono lunghe, meticolose ed assolutamente riservate, perché doveva trattarsi di un soldato privo di qualsiasi riconoscimento. Una commissione appositamente nominata dal Governo, scelse undici soldati tratti dagli undici campi di battaglia. Le bare vennero portate ciascuna con i massimi onori nel duomo di Aquilea in Friuli, per le esequie di Stato, prima di essere tumulate nel sacrario di Cargnacco. Lì avvenne la scelta, da parte di una madre di un disperso, della bara da trasferire a Roma nel monumento nazionale. Questo da allora fu denominato l’altare della patria.
Il viaggio da Aquilea a Roma avvenne in treno, a velocità moderata, con soste in tutte le stazioni per consentire a tutti i cittadini, ai sindaci ed agli abitanti anche dei paesi più piccoli di onorare il passaggio del feretro. Questi ricevette a Roma, il 4 novembre 1921, i massimi onori di Stato; dapprima con una funzione religiosa presso la chiesa degli Angeli e quindi presso l’altare della patria, ove erano presenti il re, tutto il suo seguito, tutti i componenti delle camere, tutte le bandiere di guerra delle forze armate, tutti gli ex combattenti decorati, le mamme dei dispersi ed una folla di gente comune che mai si era adunata prima. Fu una presenza corale degli italiani che manifestarono i loro sentimenti di attaccamento a quel simbolo che rappresentava e rappresenta tutti i caduti senza nome sui campi di battaglia in Italia ed all’estero. L’Italia ritrovò attorno a quel milite sconosciuto il sentimento di appartenenza nazionale.
Da quel 4 novembre, ogni anno, attorno ai monumenti che sorsero in tutte le città e nei paesini più lontani per precise direttive del Governo di allora, si onorano i caduti nell’adempimento del dovere per la patria. Molti sono senza nome . A Redipuglia sul cippo centrale c’è scritto: Non importa se non conosci il mio nome, grida al vento, fante d’Italia e dormirò contento.

13 maggio 2008

Forze Armate impiegate contro la criminalità organizzata

Ritorna nel nostro Paese il convincimento che per battere la criminalità organizzata debba essere impiegato personale delle forze armate ed in particolare dell’Esercito. Si tratta di un’esperienza conclusa da dieci anni in Sicilia, con i Vespri siciliani ed in altri parti d’Italia, in Calabria (Riace), Campania (Partenope), Sardegna (Forza Paris), sulla frontiera nord orientale (Testuggine) ed in Puglia (Salento). Attualmente è in corso l’operazione “Domino”, avviata dall’ottobre 2001, a protezione dei punti sensibili contro il terrorismo internazionale.
Da una prima valutazione occorre osservare che le diverse operazioni sono servite più ad assicurare i cittadini che a debellare le diverse organizzazioni criminali, tanto che ora si riapre il problema. L’Esercito, tuttavia, anche in quelle missioni ha svolto i suoi compiti con impegno ed attaccamento alle istituzioni pur non essendo preparato a svolgere compiti tipici di polizia. E’ da rilevare anche che da quelle esperienze operative i quadri hanno tratto ammaestramenti per affrontare le situazioni di crisi sui teatri internazionali, primo fra tutti in quello balcanico, a partire dalla seconda metà degli anni novanta.
E’ innegabile che la situazione organica, la struttura, l’addestramento delle unità è ora cambiata rispetto a quella degli anni citati. Allora l’Esercito disponeva di pochi reparti di professionisti e la maggior parte delle unità erano di leva, cioè con un addestramento di base idoneo a svolgere compiti di controllo e rastrellamento, non di combattimento. Attualmente le unità, fortemente ridotte in numero, sono formate da volontari, addestrati per operazioni di difesa e combattimento anche in situazioni di elevata intensità operativa.
Pertanto l’eventuale impiego in concorso alle forze di polizia sarebbe più efficace del passato ai fini operativi, ma comporterebbe una riduzione di impegni all’estero, già sottoscritti in ambito internazionale, per una minore disponibilità di soldati da impiegare nella nuova esigenza. Poi dal punto di vista operativo e delle risorse occorre valutare se appare più conveniente attribuire ai soldati compiti diversi da quelli per i quali sono stati addestrati professionalmente oppure reclutare più agenti delle forze dell’ordine specificamente preposte alla lotta contro la criminalità. In effetti, negli ultimi anni si è privilegiato l’arruolamento delle forze di polizia, a fronte di una forte riduzione dei volontari dell’Esercito per motivi di budget.
In questo quadro la decisione di impiegare le Forze Armate in compiti di concorso alle forze di polizia, tenendo conto di quanto avviato nel passato, comporterebbe la necessità di ridurre le missioni all’estero per le Forze Armate ed assegnare loro adeguate risorse finanziarie, ma appare comunque necessario coordinare meglio l’impiego delle cinque forze di polizia, nei diversi compiti, per conseguire risultati più efficaci nel campo di loro specifico intervento.